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Capitolo 33

Diventato un ciuchino vero, è portato a vendere, e lo compra il direttore di una compagnia di pagliacci per insegnargli a ballare e a saltare i cerchi; ma una sera azzoppisce e allora lo ricompra un altro, per far con la sua pelle un tamburo.

Vedendo che la porta non si apriva, l’Omino la spalancò con un violentissimo calcio: ed entrato che fu nella stanza, disse col suo solito risolino a Pinocchio e a Lucignolo:
— Bravi ragazzi! Avete ragliato bene, e io vi ho subito riconosciuti alla voce. E per questo eccomi qui.
A tali parole, i due ciuchini rimasero mogi mogi, colla testa giù, con gli orecchi bassi e con la coda fra le gambe.
Da principio l’Omino li lisciò, li accarezzò, li palpeggiò: poi, tirata fuori la striglia, cominciò a strigliarli perbene.
E quando a furia di strigliarli, li ebbe fatti lustri come due specchi, allora messe loro la cavezza e li condusse sulla piazza del mercato, con la speranza di venderli e di beccarsi un discreto guadagno.
E i compratori, difatti, non si fecero aspettare.
Lucignolo fu comprato da un contadino, a cui era morto il somaro il giorno avanti, e Pinocchio fu venduto al direttore di una compagnia di pagliacci e di saltatori di corda, il quale lo comprò per ammaestrarlo e per farlo poi saltare e ballare insieme con le altre bestie della compagnia.
E ora avete capito, miei piccoli lettori, qual era il bel mestiere che faceva l’Omino? Questo brutto mostriciattolo, che aveva una fisionomia tutta latte e miele, andava di tanto in tanto con un carro a girare per il mondo: strada facendo raccoglieva con promesse e con moine tutti i ragazzi svogliati, che avevano a noia i libri e le scuole: e dopo averli caricati sul suo carro, li conduceva nel Paese dei Balocchi, perché passassero tutto il loro tempo in giochi, in chiassate e in divertimenti. Quando poi quei poveri ragazzi illusi, a furia di baloccarsi sempre e di non studiare mai, diventavano tanti ciuchini, allora tutto allegro e contento s’impadroniva di loro e li portava a vendere sulle fiere e sui mercati. E così in pochi anni aveva fatto fior di quattrini ed era diventato milionario.
Quel che accadesse di Lucignolo, non lo so: so, per altro, che Pinocchio andò incontro fin dai primi giorni a una vita durissima e strapazzata.
Quando fu condotto nella stalla, il nuovo padrone gli empì la greppia di paglia: ma Pinocchio, dopo averne assaggiata una boccata, la risputò.
Allora il padrone, brontolando, gli empì la greppia di fieno: ma neppure il fieno gli piacque.
— Ah! non ti piace neppure il fieno? — gridò il padrone imbizzito. — Lascia fare, ciuchino bello, che se hai dei capricci per il capo, penserò io a levarteli!…
E a titolo di correzione, gli affibbiò subito una frustata nelle gambe.
Pinocchio dal gran dolore, cominciò a piangere e a ragliare, e ragliando, disse:
J-a, j-a, la paglia non la posso digerire!…
— Allora mangia il fieno! — replicò il padrone che intendeva benissimo il dialetto asinino.
J-a, j-a, il fieno mi fa dolere il corpo!…
— Pretenderesti, dunque, che un somaro, par tuo, lo dovessi mantenere a petti di pollo e cappone in galantina? — soggiunse il padrone arrabbiandosi sempre più e affibbiandogli una seconda frustata.
A quella seconda frustata Pinocchio, per prudenza, si chetò subito e non disse altro.
Intanto la stalla fu chiusa e Pinocchio rimase solo: e perché erano molte ore che non aveva mangiato cominciò a sbadigliare dal grande appetito. E, sbadigliando, spalancava una bocca che pareva un forno.
Alla fine, non trovando altro nella greppia, si rassegnò a masticare un po’ di fieno: e dopo averlo masticato ben bene, chiuse gli occhi e lo tirò giù.
— Questo fieno non è cattivo, — poi disse dentro di sé, — ma quanto sarebbe stato meglio che avessi continuato a studiare!… A quest’ora, invece di fieno, potrei mangiare un cantuccio di pan fresco e una bella fetta di salame!… Pazienza!
La mattina dopo, svegliandosi, cercò subito nella greppia un altro po’ di fieno; ma non lo trovò perché l’aveva mangiato tutto nella notte.
Allora prese una boccata di paglia tritata: ma in quel mentre che la masticava si dové accorgere che il sapore della paglia tritata non somigliava punto né al risotto alla milanese né ai maccheroni alla napoletana.
— Pazienza! — ripeté, continuando a masticare. — Che almeno la mia disgrazia possa servire di lezione a tutti i ragazzi disobbedienti e che non hanno voglia di studiare. Pazienza!… pazienza!
— Pazienza un corno! — urlò il padrone, entrando in quel momento nella stalla. — Credi forse, mio bel ciuchino, ch’io ti abbia comprato unicamente per darti da bere e da mangiare? Io ti ho comprato perché tu lavori e perché tu mi faccia guadagnare molti quattrini. Su, dunque, da bravo! Vieni con me nel Circo, e là ti insegnera a saltare i cerchi, a rompere col capo le botti di foglio e a ballaré il valzer e la polca, stando ritto sulle gambe di dietro.
Il povero Pinocchio, per amore o per forza, dové imparare tutte queste bellissime cose; ma, per impararle, gli ci vollero tre mesi di lezioni, e molte frustate da levare il pelo.
Venne finalmente il giorno, in cui il suo padrone poté annunziare uno spettacolo veramente straordinario. I cartelloni di vario colore, attaccati alle cantonate delle strade, dicevano così:
Grande spettacolo di gala
Per questa sera
avranno luogo i soliti salti
ed esercizi sorprendenti
eseguiti da tutti gli artisti
e da tutti i cavalli d'ambo i sessi della compagnia
e più
sarà presentato per la prima volta
il famoso
chiuchino Pinocchio
detto
La Stella della Danza
Il teatro sarà illuminato a giorno.
Quella sera, come potete figurarvelo, un’ora prima che cominciasse lo spettacolo, il teatro era pieno stipato.
Non si trovava più né un posto distinto, né un palco, nemmeno a pagarlo a peso d’oro.
Le gradinate del Circo formicolavano di bambini, di bambine e di ragazzi di tutte le età, che avevano la febbre addosso per la smania di veder ballare il famoso ciuchino Pinocchio.
Finita la prima parte dello spettacolo, il direttore della compagnia, vestito in giubba nera, calzoni bianchi a coscia e stivaloni di pelle fin sopra ai ginocchi, si presentò all’affollatissimo pubblico, e, fatto un grande inchino, recitò con molta solennità il seguente spropositato discorso:
« Rispettabile pubblico, cavalieri e dame!
« L’umile sottoscritto essendo di passaggio per questa illustre metropolitana, ho voluto procrearmi l’onore nonché il piacere di presentare a questo intelligente e cospicuo uditorio un celebre ciuchino, che ebbe già l’onore di ballare al cospetto di Sua Maestà l’Imperatore di tutte le Corti principali d’Europa.
« E col ringraziandoli, aiutateci della vostra animatrice presenza e compatiteci! »
Questo discorso fu accolto da molte risate e da molti applausi: ma gli applausi raddoppiarono e diventarono una specie di uragano alla comparsa del ciuchino Pinocchio in mezzo al Circo. Egli era tutto agghindato a festa. Aveva una briglia nuova di pelle lustra, con fibbie e borchie d’ottone; due camelie bianche agli orecchi; la criniera divisa in tanti riccioli legati con fiocchettini d’argento attraverso alla vita, e la coda tutta intrecciata con nastri di velluto amaranto e celeste. Era, insomma, un ciuchino da innamorare!
Il direttore, nel presentarlo al pubblico, aggiunse queste parole:
« Miei rispettabili auditori! Non starò qui a farvi menzogne delle grandi difficoltà da me soppressate per comprendere e soggiogare questo mammifero, mentre pascolava liberamente di montagna in montagna nelle pianure della zona torrida. Osservate, vi prego, quanta selvaggina trasudi da’ suoi occhi, conciossiaché essendo riusciti vanitosi tutti i mezzi per addomesticarlo al vivere dei quadrupedi civili, ho dovuto più volte ricorrere all’affabile dialetto della frusta. Ma ogni mia gentilezza invece di farmi da lui benvolere, me ne ha maggiormente cattivato l’animo. Io però, seguendo il sistema di Galles, trovai nel suo cranio una piccola cartagine ossea che la stessa Facoltà Medicea di Parigi riconobbe essere quello il bulbo rigeneratore dei capelli e della danza pirrica. E per questo io lo volli ammaestrare nel ballo nonché nei relativi salti dei cerchi e delle botti foderate di foglio. Ammiratelo, e poi giudicatelo! Prima però di prendere cognato da voi, permettete, o signori, che io v’inviti al diurno spettacolo di domani sera: ma nell’apoteosi che il tempo piovoso minacciasse acqua, allora lo spettacolo invece di domani sera, sarà posticipato a domattina, alle ore undici antimeridiane del pomeriggio ».
E qui il direttore fece un’altra profondissima riverenza: quindi rivolgendosi a Pinocchio, gli disse:
— Animo, Pinocchio!… Avanti di dar principio ai vostri esercizi, salutate questo rispettabile pubblico, cavalieri, dame e ragazzi!
Pinocchio, ubbidiente, piegò subito i due ginocchi davanti, fino a terra, e rimase inginocchiato fino a tanto che il direttore, schioccando la frusta, non gli gridò:
— Al passo!
Allora il ciuchino si rizzò sulle quattro gambe, e cominciò a girare intorno al Circo, camminando sempre di passo.
Dopo un poco il direttore grido:
— Al trotto! — e Pinocchio, ubbidiente al comando, cambiò il passo in trotto.
— Al galoppo!… — e Pinocchio staccò il galoppo.
— Alla carriera! — e Pinocchio si dette a correre di gran carriera.
Ma in quella che correva come un barbero, il direttore, alzando il braccio in aria, scaricò un colpo di pistola.
A quel colpo il ciuchino, fingendosi ferito, cadde disteso nel Circo, come se fosse moribondo davvero.
Rizzatosi da terra, in mezzo a uno scoppio di applausi, d’urli e di battimani, che andavano alle stelle, gli venne naturalmente di alzare la testa e di guardare in su… e guardando, vide in un palco una bella signora, che aveva al collo una grossa collana d’oro, dalla quale pendeva un medaglione.
Nel medaglione c’era dipinto il ritratto d’un burattino.
— Quel ritratto è il mio!… quella signora è la Fata! — disse dentro di sé Pinocchio, riconoscendola subito: e lasciandosi vincere dalla gran contentezza, si provò a gridare:
— Oh Fatina mia! oh Fatina mia!
Ma invece di queste parole, gli uscì dalla gola un raglio così sonoro e prolungato, che fece ridere tutti gli spettatori, e segnatamente tutti i ragazzi che erano in teatro.
Allora il direttore, per insegnargli e per fargli intendere che non è buona creanza mettersi a ragliare in faccia al pubblico, gli dié col manico della frusta una bacchettata sul naso.
Il povero ciuchino, tirato fuori un palmo di lingua, durò a leccarsi il naso almeno cinque minuti, credendo forse così di rasciugarsi il dolore che aveva sentito.
Ma quale fu la sua disperazione quando, voltandosi in su una seconda volta, vide che il palco era vuoto e che la Fata era sparita!…
Si sentì come morire: gli occhi gli si empirono di lacrime e cominciò a piangere dirottamente. Nessuno però se ne accorse e, meno degli altri, il direttore, il quale, anzi, schioccando la frusta, gridò:
— Da bravo, Pinocchio! Ora farete vedere a questi signori con quanta grazia sapete saltare i cerchi.
Pinocchio si provò due o tre volte: ma ogni volta che arrivava davanti al cerchio, invece di attraversarlo, ci passava più comodamente di sotto. Alla fine spiccò un salto e l’attraversò: ma le gambe di dietro gli rimasero disgraziatamente impigliate nel cerchio: motivo per cui ricadde in terra dall’altra parte tutto in un fascio.
Quando si rizzò, era azzoppito, e a malapena poté ritornare alla scuderia.
— Fuori Pinocchio! Vogliamo il ciuchino! Fuori il ciuchino! — gridavano i ragazzi dalla platea, impietositi e commossi al tristissimo caso.
Ma il ciuchino per quella sera non si fece rivedere.
La mattina dopo il veterinario, ossia il medico delle bestie, quando l’ebbe visitato, dichiarò che sarebbe rimasto zoppo per tutta la vita.
Allora il direttore disse al suo garzone di stalla:
— Che vuoi tu che mi faccia d’un somaro zoppo? Sarebbe un mangiapane a ufo. Portalo dunque in piazza e rivendilo.
Arrivati in piazza, trovarono subito il compratore, il quale domandò al garzone di stalla:
— Quanto vuoi di cotesto ciuchino zoppo?
— Venti lire.
— Io ti do venti soldi. Non credere che io lo compri per servirmene: lo compro unicamente per la sua pelle. Vedo che ha la pelle molto dura, e con la sua pelle voglio fare un tamburo per la banda musicale del mio paese.
Lascio pensare a voi, ragazzi, il bel piacere che fu per il povero Pinocchio, quando sentì che era destinato a diventare un tamburo!
Fatto sta che il compratore, appena pagati i venti soldi, condusse il ciuchino sopra uno scoglio ch’era sulla riva del mare; e messogli un sasso al collo e legatolo per una zampa con una fune che teneva in mano, gli dié improvvisamente uno spintone e lo gettò nell’acqua.
Pinocchio, con quel macigno al collo, andò subito a fondo; e il compratore, tenendo sempre stretta in mano la fune, si pose a sedere sullo scoglio, aspettando che il ciuchino avesse tutto il tempo di morire affogato, per poi levargli la pelle.

 

Chapitre 33

Devenu un vrai âne, Pinocchio est vendu au directeur d’un cirque qui lui apprend à danser et à sauter dans des cercles. Un soir de représentation, il s’estropie, et il est revendu pour sa peau.

Voyant que la porte restait fermée, le petit bonhomme l’ouvrit d’un grand coup de pied. Il entra dans la pièce et s’adressa à Pinocchio et La Mèche en arborant son habituel petit sourire :

-         Bravo, les enfants ! Vos braiments étaient parfaits et je vous ai tout de suite reconnus. C’est même pour cela que je suis ici.

Les deux ânons prirent un air penaud, la tête et les oreilles baissés, la queue entre les jambes.

Le charretier commença par les flatter et les palper puis il se mit à les étriller vigoureusement.

Une fois étrillés, les bourricots brillaient comme des miroirs. Il leur passa alors un licou et les conduisit sur la place du marché avec l’espoir de les vendre et d’en tirer un bon prix.

Les acheteurs, de fait, ne se firent pas attendre.

La Mèche fut acquis par un paysan qui avait perdu son âne la veille et Pinocchio acheté par le directeur d’un cirque pour le dresser à sauter et à danser avec les autres animaux de sa compagnie.

Et maintenant vous avez compris, mes chers petits lecteurs, quel beau métier faisait l’homme à la charrette ? Cet avorton, ce monstre à la mine si avenante sillonnait de temps en temps le pays et, chemin faisant, embobi­nait avec ses minauderies et ses promesses tous les enfants paresseux qui n’aimaient ni les livres ni l’école. Il les faisait monter dans sa carriole et les conduisait au Pays des Jouets. Là, ils passaient leurs journées à s’amuser. Mais bientôt ces pauvres enfants naïfs, à force de jouer tout le temps et de n’étudier jamais, deve­naient des ânes que, tout content, le petit homme allait vendre au marché ou sur les foires. C’est ainsi qu’en peu d’années, il accumula tant d’argent qu’il était devenu millionnaire.

Ce qu’il advint de La Mèche, je n’en sais rien. En revanche, je sais que Pinocchio dut endurer, dés les pre­miers jours, une vie très dure et particulièrement exténuante.

Après l’avoir conduit à l’écurie, son nouveau maître remplit son râtelier de paille. Pinocchio y goûta puis la re­cracha.

Tout en maugréant, le directeur du cirque y mit du foin, mais le foin ne plut pas non plus à Pinocchio.

-         Ah bon ! Le foin non plus ne te plait pas ? – cria l’homme énervé – Alors, écoute ! A chaque fois qu’il te viendra la fantaisie de faire des caprices, attends-toi, mon beau, à ce que je te les ôte de la cervelle !

Et pour le punir, il lui cingla les pattes avec son fouet.

Ce qui fit pleurer et braire Pinocchio qui hoqueta :

-         Hi-han ! Hi-han ! La paille, je ne peux pas la digérer !...

-         Alors, mange le foin ! – répliqua son maître qui comprenait très bien la langue des ânes.

-         Hi-han ! Hi-han ! Le foin me donne des maux d’estomac !...

-         Tu prétends donc qu’à un baudet comme toi je devrais donner du blanc de poulet et du chapon en ge­lée ? – ajouta l’homme de plus en plus en colère et le fouettant de nouveau.

Cette fois Pinocchio, devenu prudent, préféra se taire.

La porte de l’écurie refermée, Pinocchio resta seul et, comme il n’avait pas mangé depuis longtemps, il se mit à bailler. En baillant, il ouvrait une bouche grande comme un four. 

Finalement, ne trouvant rien d’autre dans sa mangeoire, il se résigna à mastiquer un peu de foin. Puis, après l’avoir bien malaxé, il ferma les yeux et l’avala.

-         Ce foin n’est pas vraiment mauvais – se dit-il – mais j’aurais quand même mieux fait de à étu­dier. A cette heure-ci, au lieu de foin, j’aurais pu manger un morceau de pain frais avec une bonne tran­che de salami ! Dommage !

Le lendemain matin, à son réveil, il chercha tout de suite le foin dans le râtelier. Mais il n’y en avait plus car il avait tout mangé dans la nuit.

Il se consola en prenant une bouchée de paille broyée. Mais tout en la mastiquant, il fut bien obligé de recon­naître que cette paille n’avait la saveur ni d’un risotto à la milanaise, ni de macaronis à la napolitaine. 

-         Dommage ! – répéta-t-il tout en mastiquant – Qu’au moins mes malheurs servent de leçon à tous les en­fants désobéissants qui ne veulent pas aller à l’école ! Mais c’est dommage ! Bien dommage !

-         Tu te plains ? Attends un peu ! – hurla le directeur qui venait d’entrer dans l’écurie – Car tu crois peut-être que je t’ai acheté uniquement pour te donner à boire et à manger ? Je t’ai acheté, moi, pour que tu travailles et que tu me fasses gagner beaucoup de sous. Allez, debout ! Tu vas venir avec moi sur la piste et je vais t’apprendre à sauter dans des cerceaux, à danser la valse et la polka debout sur tes pattes arrières.

Effectivement, le pauvre Pinocchio dut apprendre de gré ou de force toutes ces belles choses mais il lui fallut trois mois et beaucoup de coups de fouet qui lui arrachaient la peau pour y arriver. 

Un jour, son maître put enfin annoncer un spectacle tout à fait extraordinaire. Sur les affiches placardées à tous les coins de rues, on pouvait lire :

Ce soir

GRAND SPECTACLE DE GALA

Des sauts et des exercices surprenants

Avec tous les artistes et les chevaux

De la Compagnie

Et, pour la première fois, le fameux

PETIT ANE PINOCCHIO

dit

L’Etoile de la Danse

Le théâtre sera illuminé

 

Comme de bien entendu, ce fameux soir, le théâtre était bondé bien avant que le spectacle ne commence. 

Plus aucune place n’était à vendre, même à prix d’or.

Sur les gradins s’entassaient des nuées d’enfants de tous âges très excités à l’idée de voir danser le fameux âne Pinocchio.

A la fin de la première partie, le directeur de la compagnie, veste noire, pantalons blancs et bottes de cuir jusqu’aux genoux, se présenta, s’inclina profondément devant la foule des spectateurs et entama avec solen­nité ce discours-fleuve : 

Honorable public, gentilshommes et belles dames !

 « Votre humble serviteur, de passage dans cette illustre cité, a le plaisir mais aussi la fierté de présenter à son éminent public un célèbre petit âne qui a déjà eu l’honneur de danser devant Sa Majesté l’Empereur de toutes les principales Cours d’Europe »  

 « Je vous remercie de votre participation et de votre indulgence ! »

Rires et applaudissements suivirent cette introduction mais les applaudissements redoublèrent et déferlèrent comme un coup de tonnerre quand Pinocchio entra sur la piste. Il était paré comme s’il allait à une fête. Il arbo­rait une bride neuve en cuir qui reluisait et qui était chargée de boucles et de clous en cuivre, deux camélias blancs ornaient ses oreilles, sa crinière tressée était parsemée de petits nœuds argentés et des rubans de velours amarante et bleu-ciel enveloppaient sa queue. C’était, en somme, un amour de petit âne ! 

Le directeur continua son discours :

Vénérable public ! Je ne vous cacherai pas les grandes difficultés que j’ai éprouvées pour comprendre et maî­triser ce mammifère alors qu’il paissait librement de montagne en montagne dans les plaines torrides du sud. Observez, je vous prie, la sauvagerie de son regard et vous comprendrez que, tous les moyens habituels pour en faire un quadrupède domestique ayant échoué, j’ai dû souvent recourir à l’aimable dialogue du fouet. Met­tant en pratique la méthode de Galles, j’ai découvert qu’il avait dans son crâne le cartilage de Carthage que la Faculté de Médecine de Paris elle-même désigne comme le bulbe régénérateur des cheveux et celui de la danse pyrrhique, la danse guerrière des anciens Grecs. C’est pourquoi je l’ai non seulement dressé à sauter dans des cerceaux, mais aussi à danser. Admirez et appréciez ! Mais avant de prendre congé de vous, je vous invite, Messieurs et Mesdames, à venir au spectacle diurne de demain soir. Dans l’hypothèse où la pluie menacerait, la représentation de demain soir serait alors reportée à demain matin, à onze heures de l’après-midi ».      

Après une nouvelle profonde révérence, le directeur se tourna vers Pinocchio :

-         Courage, Pinocchio ! Mais avant les exercices, il vous faut saluer ce respectable public.

Pinocchio, obéissant, se mit à genoux sur ses pattes avant et resta ainsi jusqu’au moment où, faisant claquer son fouet, le directeur ordonna:

-         Au pas !

L’ânon se releva et commença à tourner, au pas, autour de la piste.

Puis le directeur commanda :

-         Au trot !

Et Pinocchio passa au trot.

-         Au galop !

Pinocchio galopa. 

-         A toute allure !

Et alors que l’ânon filait comme un cheval arabe, le dompteur leva un bras en l’air et tira un coup de pistolet.

L’âne, faisant semblant d’être blessé, s’effondra au milieu de la piste et fit le mort.

Une fois relevé, des hurlements et des applaudissements assourdissants emplirent le cirque. Pinocchio leva la tête vers le public et... il vit dans une loge une belle jeune femme qui portait à son cou un collier en or au bout duquel pendait un médaillon.

On distinguait, dans ce médaillon, le portrait de la marionnette.

-         Mais c’est mon portrait ! Cette dame est la Fée ! – s’étonna Pinocchio en reconnaissant la jeune femme. Alors, sa joie lui faisant oublier toute prudence, il voulut crier :

-         Ma Fée ! Ma bonne petite Fée !

Mais rien ne sortit de sa gorge que des braiments sonores et prolongés qui firent éclater de rire tous les spectateurs, et surtout les enfants.

Le directeur, pour lui faire comprendre qu’il n’est pas bien élevé de braire au nez du public, lui appliqua un bon coup sur le museau avec le manche de son fouet.

Le pauvre petit âne, tirant une langue longue comme le bras, se lécha le museau pendant plusieurs minutes afin de calmer la douleur.

Mais son plus profond désespoir fut quand, regardant de nouveau le public, il ne vit plus personne dans la loge. La Fée avait disparu !  

Il crut qu’il allait mourir. Ses yeux se remplirent de larmes et il se mit à sangloter. Personne ne s’en rendit compte et encore moins le directeur du cirque qui fit claquer son fouet et cria :

-         Allez Pinocchio ! Maintenant fais voir à ces messieurs-dames avec quelle élégance tu sais sauter dans les cercles.

Pinocchio fit plusieurs tentatives mais à chaque fois qu’il se présentait devant le cerceau, au lieu de le traver­ser, il passait dessous. Prenant une nouvelle fois son élan, il faillit réussir mais ses pattes arrières restèrent accrochés au cerceau et il s’affala de tout son long sur la piste.

Quand il se releva, il boitait et il eut le plus grand mal à rejoindre l’écurie.

-         Pinocchio, reviens ! On veut le petit âne ! Pinocchio ! Pinocchio ! – hurlaient les enfants apitoyés par ce qu’ils venaient de voir.

Mais le petit âne ne revint pas.

Le lendemain matin, le vétérinaire, c’est à dire le médecin des animaux, déclara qu’il resterait estropié toute sa vie.

Alors le directeur du cirque appela son garçon d’écurie :

-         Que veux-tu que je fasse d’un baudet boiteux ? Ce serait le nourrir à perte. Emmène-le donc au marché et revends-le.

Arrivés sur la place du marché, ils trouvèrent tout de suite un acheteur :

-         Combien cet âne boiteux ?

-         Vingt lires.

-         Je t’en donne vingt centimes. Ne crois pas que je vais m’en servir. Je l’achète uniquement pour sa peau. Je vois qu’il a la peau particulièrement dure et j’en ai besoin pour fabriquer un tambour pour l’orchestre de mon village.

Je vous laisse imaginer, mes enfants, les sentiments du pauvre Pinocchio quand il entendit qu’il allait devenir un tambour !

Après avoir versé les vingt centimes, l’acheteur conduisit l’ânon jusqu’à un rocher qui surplombait la mer, lui suspendit une grosse pierre au cou, attacha une corde à l’une de ses pattes tout en gardant l’autre bout à la main et lui donna une forte bourrade qui le projeta dans l’eau.  

Avec ce poids autour du cou, Pinocchio coula tout au fond de la mer tandis que l’acheteur, tenant toujours l’autre extrémité de la corde, alla s’asseoir sur le rocher en attendant que l’âne ait tout le temps de se noyer pour qu’il puisse, ensuite, récupérer sa peau..

 

 



 

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