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Capitolo 7

In mezzo all’Atlantico

L’Oceano Atlantico, che gli arditi aeronauti stavano per attraversare, è il più noto ed il più frequentato di tutti, quantunque sia stato interamente percorso solamente dopo la scoperta dell’America.
La sua esistenza era già nota agli antichi; ma fino al quindicesimo secolo, anzi più tardi, se ne ignoravano i confini. Oggi si conoscono esattamente la sua superficie, che è stata calcolata di 79.721.274 chilometri quadrati, la sua lunghezza che tocca dal nord al sud i 13.335 chilometri e le sue maggiori larghezze, che variano fra i 3500 e i 3600 chilometri, ed anche le sue profondità.
Anticamente si credeva che il fondo degli oceani, date le loro immense estensioni, fossero dappertutto uguale. Gli scandagli eseguiti con grandi fatiche, ma con molte cure, dalle navi da guerra delle nazioni europee ed americane hanno invece dimostrato che quei fondi hanno pianure, montagne ed abissi come tutti i continenti.
L’Atlantico specialmente non ha un fondo regolare: tutt’altro. Generalmente le valli di questo oceano diventano più profonde di mano in mano che si allontanano dai continenti; ma esso ha dei pianori che conservano la loro profondità per parecchie centinaia di miglia, anzi per delle migliaia. La parte centrale del bacino settentrionale, per esempio, è un immenso pianoro di forma irregolare, che si mantiene a circa 2000 braccia sotto la superficie delle acque e si alza lentamente verso le Azzorre, che possono chiamarsi il punto culminante, e verso le Isole Britanniche, le quali si trovano appoggiate sopra un banco che ha solo cento braccia di profondità; il che giustamente fa supporre che quel banco, o piattaforma, non sia altro che una parte sommersa dell'Europa. Ma se l’Atlantico ha grandi pianori che si mantengono a una costante profondità, ha più baratri immensi, spaventevoli, sia nel bacino settentrionale sia in quello meridionale. Fra le Isole Britanniche e l’Islanda ne fu misurato uno che diede una larghezza di 1200 miglia e una profondità di tre chilometri; a 130 chilometri da Porto Rico, un altro diede 8341 metri; un terzo a 0° 11, di latitudine sud, verso il Capo Verde, diede 7370 metri; un quarto, fra Madera e le Canarie, diede 5000 metri, e un quinto, fra le Azzorre e la costa del Portogallo, altrettanti.
Quale terribile fine per gli aeronauti, se l’aerostato fosse scoppiato bruscamente o si fosse lacerato sopra uno di quegli immensi baratri!
Fortunatamente quel magnifico vascello aereo, fabbricato dall'ingegnere con cura strema, dotato di uria forza ascensionale così potente ed equilibrato come era, si comportava quanto e forse meglio di un vascello galleggiante sull’acqua. Spinto dal vento, che si manteneva costantemente favorevole, soffiando sempre dal sud-ovest, si librava ancora alla stessa altezza: però fra breve avrebbe dovuto abbassarsi a causa del restringimento dell’idrogeno, che è molto sensibile ai cambiamenti di temperatura.
L’oceano aveva assunto una tinta cupa, e non si udivano che i suoi brontolii. Pareva che sotto l’aerostato si stendesse un immenso velo nerastro, o meglio uno strato di veli, il quale lasciasse trasparire, di quando in quando, dei vaghi riflessi, dovuti alle incerte luci degli astri.
L’aria era di una purezza ammirabile, d’una trasparenza cristallina, ed in alto scintillavano a milione le stelle, le quali parevano seguissero il corso del vascello volante. All’orizzonte, una tinta lievemente argentea annunciava il prossimo spuntare dell’astro notturno e si rifletteva sulle lontane acque dell’oceano, che prendevano, in quella direzione, una tinta madreperlacea d’un effetto ammirabile, veduta da quell’altezza. O’Donnell, sorpreso e stupito, guardava quella scena senza parlare, curvo sulla poppa del battello d’alluminio; Kelly continuava le sue osservazioni e guardava particolarmente i suoi barometri per rendersi conto della discesa dell’aerostato.
“Tremila metri” disse ad un tratto l’ingegnere.
“E scendiamo ancora?”
“Sempre.”
“Che il nostro peso sia soverchio?”
“No: è l’idrogeno che si restringe per il freddo.”
“Che sfugga invece da qualche apertura?”
“Sentite odore di gas?”
“No.”
“Tutto dunque va bene.”
“Ma fino a quando scenderemo?”
“Lo sapremo più tardi.”
“Finiremo per toccare l’oceano?”
“Forse nelle notti seguenti; ma ora no: la forza ascensionale del nostro aerostato è per ora troppo potente. Oh! Oh!”
“Cosa avete?”
L'ingegnere non rispose. I suoi occhi si erano fissati sulle due bussole, e la sua fronte si era corrugata.
“Che la corrente da me studiata, e che soffiava costantemente dal sud-ovest verso il nord-est, finisca qui?” mormorò. “Ciò sarebbe grave.”
“Ma che cosa avete?” insistette l'irlandese. “Ho da darvi una seria comunicazione, O’Donnell.” rispose l’ingegnere. “Noi abbiamo virato di bordo, come dicono i marinai.”
“E cosa importa?”
“Voi sapete dove ci spingerà ora il vento?”
“Io no.”
“Intanto ci riconduce verso l’America.”
“In direzione del banco!”
“No: verso il nord-ovest, dritti allo stretto di Davis, fra la Groenlandia ed il Labrador.”
“Brutta scoperta, in fede mia! Cosa pensate di fare? Mi spiacerebbe assai ritornare nel Canada.”
“Se ci trovassimo vicini alla superficie dell’oceano, getterei le mie ancore: ma siamo tanto alti che tutte le nostre funi riunite non toccherebbero l’acqua.”
“E non ci si può abbassare di più?”
“Sì, ma dovremmo sacrificare una parte del nostro gas, e capirete che per noi è troppo prezioso per lasciarlo fuggire.”
“A quale distanza ci troviamo dal banco di Terranova”
“A centosettanta miglia.”
“E ritorniamo?”
“Con una velocità di sessanta miglia all’ora. Continuando in questa nuova direzione, avvisteremo il Labrador fra quattro o cinque ore.”
“Dannato vento! Speriamo che cambi. Mister Kelly, quantunque non mi dispiaccia di andare al polo invece che in Europa. Sarebbe una magnifica scoperta.”
“Che per il momento lascio ad altri, O’Donnell, non avendo portato con me vesti adatte a quei terribili freddi, né una cucina portatile per farci qualche bevanda calda. Se il vento ci spinge in quella direzione, scenderemo alla prima terra e riprenderemo il tentativo più tardi, su un’altra costa.”
“Mi spiacerebbe assai.”
“E anche a me. Speriamo però che la corrente si ristabilisca col levar del sole.”
“Che la vostra corrente si mantenga a 3500 metri?”
“Può essere che al di sotto di quell’altezza ne esista un’altra, quella che ora ci porta al nord-ovest.”
“Gettiamo zavorra e innalziamoci.”
“Sarebbe una grande imprudenza, O’Donnell: ci priveremmo di un peso che più tardi potrebbe esserci di estrema necessità, e quando il sole dilaterà il nostro idrogeno, noi saliremmo a tale altezza da non poter resistere. A 8000 metri la rarefazione dell’aria è mortale, o poco meno; a 9000 nessuno di noi resisterebbe.”
“Lasciamo dunque che il vento ci porti al nord-ovest, e domani vedremo.”
“Continuiamo a scendere?”
“Sì,” rispose l’ingegnere. “E da questa discesa spero assai di fermare l’aerostato. Eccoci già a 2500 metri, e non ci arrestiamo ancora: l’idrogeno si raffredda rapidamente: tanto meglio!”
Infatti il pallone, o meglio i due palloni, a causa dell’umidità della notte, che li rendeva più pesanti, e del freddo acuto che restringeva l’idrogeno, calava a vista d’occhio, facendo dei bruschi salti. Si arrestava un momento, poi scendeva, come se le sue forze venissero improvvisamente meno e l’idrogeno perdesse la sua potenza ascensionale, poi tornava a fermarsi per riprendere, qualche minuto dopo, le sue ricadute.
O’Donnell, quantunque avesse grande fiducia in quel vascello aereo e nel suo inventore, cominciava a diventare inquieto.
L’ingegnere invece era tranquillo, anzi benediceva in cuor suo quell’umidità e quel freddo, che gli permettevano di gettare le sue ancore e arrestare quella marcia verso regioni affatto opposte a quelle che sperava di raggiungere.
Alle 9 di sera l’aerostato non era che a mille metri dall’oceano. Si udivano distintamente i sordi muggiti delle cupe ondate, e si distingueva nettamente la spuma che le copriva.
Alle 10 era a 500 e alle 11 e un quarto a 300. La discesa si arrestò: l'equilibrio si era ristabilito.
“Giù le ancore” disse l’ingegnere.
“Avremo funi sufficienti?” chiese O’Donnell, respirando liberamente.
“Unendo le tre funi delle guide-ropes e tutte le altre, ne avremo a esuberanza.”
“Non scenderà più l’aerostato?”
“Non credo: anzi lo alleggeriremo d’un peso notevole e lo costringeremo, per di più, a fermarsi. Aiutatemi, O’Donnell.”
I due grandi coni d’alluminio, della capacità totale di quattrocentosessanta litri, vennero trasportati uno a prua e l’altro a poppa e legati alle lunghe corde, che erano state rapidamente annodate.
L’ingegnere e l’irlandese, aiutati da Simone che si era finalmente deciso a muoversi, calarono nell’oceano i due grandi coni, i quali tosto si capovolsero, riempiendosi d’acqua.
L’aerostato scaricato di quel peso, tese subito le due corde e interruppe bruscamente la sua fuga verso il nord-ovest. I due immensi fusi virarono di bordo e si piegarono verso la direzione del vento; ma i due coni tennero fermo, opponendo una resistenza incredibile.
Per alcuni istanti il vascello aereo rimase perfettamente immobile; poi il vento, che urtava con violenza le sue immense superfici, si diede a trascinarlo nella direzione primitiva. Ma la velocità della marcia era minima: l'ingegnere constatò che l’aerostato percorreva a mala pena tre miglia all’ora.
“Questo risultato sorpassa le mie previsioni” disse. “In una sola ora di buon vento possiamo riguadagnare ciò che perdiamo in otto o dieci ore di marcia contraria. Volete ora un consiglio, O’Donnell?”
“Parlate, Mister Kelly.”
“Avvolgetevi in una grossa coperta di lana e dormite, finché Simone veglia. Non corriamo alcun pericolo e possiamo chiudere gli occhi in attesa del nostro quarto di guardia.”
“Mi terrete compagnia?”
“Fino alla mezzanotte. Alle quattro del mattino voi mi sostituirete.”
“Non domando di più. Buona notte, Mister Kelly, e se vi occorre qualche cosa, tiratemi le gambe senza riguardo, o fatemele tirare da Simone.”
I due aeronauti si avvolsero nelle loro coperte per ripararsi dall'umidità e dal freddo della notte e s’addormentarono profondamente, mentre il Washington filava lentamente verso nord-ovest, trascinando le due ancore, che fendevano le onde con sordi fragori.
Nessun lume si scorgeva sulla nera superficie dell’Atlantico.
Solo all’orizzonte le acque riflettevano il primo quarto della luna, tingendosi di una luce biancastra, e la luce rossastra od azzurrognola delle stelle prossime al tramonto.
Il silenzio era solamente rotto dal fragore prodotto dalle ancore, che cercavano di opporre resistenza al vento, il quale spingeva l’aerostato e dai brontolii sordi delle onde.
Alzò il capo e vide i due immensi fusi dondolarsi lentamente con le punte volte verso il nord-ovest. Il vento produceva dello pieghe sulla loro superficie, ingolfandosi nella seta; ma era debole e non poteva produrre alcun guasto. L’ingegnere avrebbe potuto eliminarle, gonfiando i due palloncini con la piccola pompa premente, ma non essendovi alcun pericolo, sarebbe stata una fatica vana. Più tardi, il calore solare si sarebbe incaricato di rendere lisce quelle superfici.
L’ingegnere continuò a fumare tranquillamente, dolcemente cullato dalla navicella, che il vento faceva oscillare, in attesa di venire sostituito dall’irlandese, il quale russava sonoramente sotto un banco, strettamente avvolto nella sua coperta di lana.
Già verso l’oriente una luce incerta cominciava ad apparire, tingendo il cielo di riflessi madreperlacei e facendo impallidire gli astri, quando l’ingegnere fu bruscamente strappato dalle sue meditazioni da un lontano muggito, che pareva si avvicinasse rapidamente.
Si alzò e guardò sotto di sé; ma nulla scorse sulla nera superficie dell’oceano. Girò intorno lo sguardo e vide, verso l’ovest, tre punti luminosi solcare l’orizzonte con fantastica celerità.
“Uno steamer,” mormorò “una nave che va in Europa, o che si dirige verso gli stabilimenti della baia di Hudson.”
Ad un tratto mandò un grido. Una fiamma rossa era balenata fra quei tre punti luminosi, seguita poco dopo da una detonazione, e un proiettile era passato, fischiando, fra i due aerostati, ricadendo in mare con un sordo tonfo.

 

 Chapitre 7

Au milieu de l'Atlantique

L'océan Atlantique, que les audacieux aéronautes s'apprêtaient à traverser, est le plus connu et le plus fréquenté de tous, bien qu'il n'ait été entièrement traversé qu'après la découverte de l'Amérique.
Son existence était déjà connue des anciens ; mais jusqu'au quinzième siècle, voire plus tard, ses frontières étaient inconnues. On connaît aujourd'hui exactement sa superficie, qui a été calculée à 79 721 274 kilomètres carrés, sa longueur qui atteint 13 335 kilomètres du nord au sud et ses plus grandes largeurs, qui varient entre 3 500 et 3 600 kilomètres, ainsi que sa profondeur.
Dans les temps anciens, on croyait que le fond des océans, étant donné leur immense étendue, était partout le même. Les sondages effectués avec beaucoup d'efforts, mais avec beaucoup de soin, par les navires de guerre des nations européennes et américaines ont au contraire montré que ces fonds ont des plaines, des montagnes et des abîmes comme tous les continents.
L'Atlantique surtout n'a pas de fond régulier : loin de là. Généralement les vallées de cet océan s'approfondissent à mesure qu'elles s'éloignent des continents ; mais il a des plaines qui conservent leur profondeur sur plusieurs centaines de milles, voire des milliers.
La partie centrale du bassin nord, par exemple, est un immense plateau de forme irrégulière, situé à environ 2 000 toises au-dessous de la surface des eaux, et s'élevant lentement vers les Açores, qu'on peut appeler le point culminant, et vers les îles britanniques. , que l'on retrouve accoudés à un banc qui n'a que cent bras de profondeur ; ce qui suggère à juste titre que cette banque, ou plate-forme, n'est rien de plus qu'une partie submergée de l'Europe. Mais si l'Atlantique possède de grands plateaux qui restent à profondeur constante, il présente plusieurs gouffres immenses et effrayants, tant dans les bassins nord que sud. Entre les îles britanniques et l'Islande, on en mesurait un qui donnait une largeur de 1200 milles et une profondeur de deux milles ; A 130 kilomètres de Puerto Rico, un autre donnait 8341 mètres ; une troisième à 0° 11 S. de latitude, vers le Cap-Vert, a donné 7370 mètres ; un quart, entre Madère et les îles Canaries, donnait 5 000 mètres, et un cinquième, entre les Açores et la côte du Portugal, autant.
Quelle terrible fin pour les aéronautes, si le ballon éclate subitement ou se déchire au-dessus d'un de ces gouffres immenses !
Heureusement ce magnifique vaisseau aérien, construit par l'ingénieur avec un soin extrême, doté d'une force de portance aussi puissante et équilibrée qu'il était, se comporta autant et peut-être mieux qu'un vaisseau flottant sur l'eau. Poussée par le vent, qui restait constamment favorable, soufflant toujours du sud-ouest, elle planait toujours à la même altitude : cependant, elle aurait dû bientôt tomber en raison du retrait de l'hydrogène, très sensible aux changements de température.
L'océan avait pris une teinte terne, et seuls ses grondements se faisaient entendre. Il semblait que sous le ballon s'étendait un immense voile noirâtre, ou plutôt une couche de voiles, qui laissaient transparaître, de temps en temps, de vagues reflets, dus aux lumières incertaines des étoiles.
L'air était d'une pureté admirable, d'une transparence cristalline, et au-dessus scintillaient un million d'étoiles qui semblaient suivre la course du vaisseau volant. A l'horizon, une teinte légèrement argentée annonçait le lever imminent de l'astre nocturne et se reflétait sur les eaux lointaines de l'océan, qui, de ce côté, prenaient une teinte nacrée d'un effet admirable, vues de cette hauteur. O'Donnell, surpris et émerveillé, regardait cette scène sans parler, penché sur la poupe du bateau en aluminium ; Kelly a poursuivi ses observations et a particulièrement regardé ses baromètres pour se rendre compte de la descente de l'aérostat.
« Trois mille mètres », dit soudain l'ingénieur.
« Et on redescend ?
"Toujours."
« Que notre poids est trop lourd ?
"Non : c'est l'hydrogène qui rétrécit dans le froid."
"Peut-il plutôt s'échapper d'une ouverture?"
"Est-ce que tu sens du gaz ?"
"Non."
"Alors tout va bien."
« Mais jusqu'à quand allons-nous descendre ?
"Nous le saurons plus tard."
« Allons-nous finir par toucher l'océan ?
« Peut-être dans les nuits suivantes ; mais pas maintenant : la force de levage de notre aérostat est trop puissante pour l'instant. Oh! Oh!"
"Qu'est-ce que tu as?"
L'ingénieur ne répondit pas. Ses yeux étaient fixés sur les deux compas et son front plissé.
« Que le courant que j'ai étudié, et qui soufflait constamment du sud-ouest au nord-est, s'arrête ici ? murmura-t-il. "Ce serait sérieux."
"Mais qu'est-ce que vous avez?" insista l'Irlandais. "J'ai une communication sérieuse à vous donner, O'Donnell." répondit l'ingénieur. « Nous avons viré, comme disent les marins.
"Et qu'importe ?"
« Savez-vous où le vent va nous emmener maintenant ? »
"Le non."
"En attendant, cela nous ramène en Amérique."
« En direction du comptoir !
"Non : au nord-ouest, tout droit jusqu'au détroit de Davis, entre le Groenland et le Labrador."
« Mauvaise découverte, par ma foi ! Qu'est-ce que vous envisagez de faire? Je détesterais vraiment retourner au Canada.
"Si nous étions près de la surface de l'océan, je jetterais mes ancres : mais nous sommes si haut que toutes nos cordes ensemble ne toucheraient pas l'eau."
« Et ne pouvons-nous pas nous abaisser davantage ?
"Oui, mais il faudrait sacrifier une partie de notre gaz, et vous comprendrez qu'il nous est trop précieux pour le laisser s'échapper."
« À quelle distance sommes-nous du banc de Terre-Neuve »
"Cent soixante-dix milles."
"Et on rentre ?"
«Avec une vitesse de soixante milles à l'heure. En continuant dans cette nouvelle direction, nous apercevrons le Labrador dans quatre ou cinq heures.
« Maudit vent ! Espérons que cela change. Monsieur Kelly, bien que cela ne me dérange pas d'aller au polo au lieu de l'Europe. Ce serait une belle découverte."
« Ce que je laisse pour le moment à d'autres, O'Donnell, n'ayant apporté avec moi aucun vêtement convenant à ces terribles rhumes, ni un réchaud portatif pour nous faire des boissons chaudes. Si le vent nous pousse dans cette direction, nous descendrons vers la première terre et reprendrons la tentative plus tard, sur une autre côte.
"Je serais vraiment désolé."
"Et moi aussi. Espérons cependant que le courant se rétablira avec le lever du soleil."
« Que votre courant se maintient à 3500 mètres ?
"Il se peut qu'en dessous de cette hauteur il en existe une autre, celle qui nous emmène maintenant au nord-ouest."
« Jetons du lest et levons-nous.
« Ce serait une grande imprudence, O'Donnell : nous nous dépouillerions d'un poids dont nous aurions plus tard besoin d'une extrême nécessité, et quand le soleil dilaterait notre hydrogène, nous nous élèverions à une telle hauteur que nous ne pourrions pas résister. A 8000 mètres la raréfaction de l'air est mortelle, ou un peu moins ; à 9000 aucun de nous ne résisterait.
"Alors laissez le vent nous emmener au nord-ouest, et demain nous verrons."
"Est-ce qu'on continue à descendre ?"
"Oui", répondit l'ingénieur. « Et de cette descente j'espère bien arrêter le ballon. Nous voici déjà à 2500 mètres, et nous ne nous arrêtons pas encore : l'hydrogène se refroidit rapidement : tant mieux !
En effet, le ballon, ou plutôt les deux ballons, à cause de l'humidité de la nuit, qui les alourdissait, et du froid aigu qui restreignait l'hydrogène, ont chuté à vue d'œil, en faisant des sauts brusques. Il s'arrêtait un instant, puis redescendait, comme si sa force venait à faiblir et que l'hydrogène perdait sa puissance ascendante, puis il s'arrêtait de nouveau pour reprendre, quelques minutes plus tard, ses rechutes.
O'Donnell, bien qu'il ait une grande confiance en ce vaisseau aérien et en son inventeur, commençait à s'agiter.
L'ingénieur, au contraire, était calme, il bénissait même dans son cœur cette humidité et ce froid qui lui permettaient de jeter l'ancre et d'arrêter cette marche vers des régions tout à fait opposées à celles qu'il espérait atteindre.
A 9 heures du soir, l'aérostat n'était qu'à mille mètres de l'océan. Le rugissement sourd des vagues sombres était distinctement entendu, et l'écume qui les recouvrait était distinctement distincte.
A 10 heures il était à 5 heures et à 11 heures et quart à 3 heures. La descente s'arrêta : l'équilibre était rétabli.
"Ancres vers le bas", a déclaré l'ingénieur.
« Aurons-nous assez de cordes ? demanda O'Donnell, respirant librement.
"En joignant les trois cordes des guide-cordes et toutes les autres, nous aurons un surplus."
« Le ballon ne redescendra-t-il pas ?
« Je ne pense pas : au contraire, on va l'alléger d'un poids considérable et on va aussi le forcer à s'arrêter. Aidez-moi, O'Donnell."
Les deux gros cônes d'aluminium, d'une contenance totale de quatre cent soixante litres, étaient portés l'un vers l'avant et l'autre vers l'arrière et attachés aux longs cordages rapidement noués.
L'ingénieur et l'Irlandais, aidés par Simone qui s'était finalement décidée à bouger, descendirent les deux gros cônes dans l'océan qui chavira bientôt en se remplissant d'eau.
Le ballon, délesté par ce poids, tendit aussitôt les deux cordes et interrompit brusquement son vol vers le nord-ouest. Les deux immenses fuseaux s'incurvaient et s'infléchissaient dans la direction du vent ; mais les deux cônes tenaient bon, opposant une incroyable résistance.
Pendant quelques instants, le vaisseau aérien était parfaitement immobile; puis le vent, qui frappait violemment ses immenses surfaces, se mit à l'entraîner dans sa direction primitive. Mais la vitesse de la marche était minime : l'ingénieur a constaté que le ballon parcourait à peine cinq kilomètres à l'heure.
"Ce résultat dépasse mes prévisions", a-t-il déclaré. « En seulement une heure de bon vent on peut regagner ce que l'on perd en huit ou dix heures de marche à contre-courant. Voulez-vous un conseil maintenant, O'Donnell ?"
« Parlez, monsieur Kelly.
«Enveloppez-vous dans une épaisse couverture de laine et dormez pendant que Simon est éveillé. Nous ne sommes pas en danger et pouvons fermer les yeux en attendant notre quart de quart.
"Voulez-vous me tenir compagnie?"
"Jusqu'à minuit. A quatre heures du matin, tu me remplaceras.
« Je n'en demande pas plus. Bonne nuit, monsieur Kelly, et si vous avez besoin de quoi que ce soit, tirez mes jambes sans égard, ou demandez à Simone de les tirer pour moi.
Les deux aéronautes s'enveloppent dans leurs couvertures pour se protéger de l'humidité et du froid de la nuit et s'endorment profondément, tandis que le Washington navigue lentement vers le nord-ouest, traînant ses deux ancres, qui fendent les vagues avec des fracas sourds.
Aucune lumière n'était visible sur la surface noire de l'Atlantique.
A l'horizon seulement, les eaux reflétaient le premier quartier de la lune, teinté d'une lumière blanchâtre, et la lumière rougeâtre ou bleutée des étoiles approchant du coucher du soleil.
Le silence n'était rompu que par le grondement produit par les ancres, qui tentaient d'opposer résistance au vent, qui poussait le ballon et par le grondement sourd des vagues.
Il leva la tête et vit les deux immenses fuseaux se balancer lentement avec leurs pointes pointées vers le nord-ouest. Le vent produisit des plis à leur surface, engloutissant la soie ; mais il était faible et ne pouvait produire aucun dommage. L'ingénieur aurait pu les éliminer en gonflant les deux ballons avec la petite pompe à pression, mais comme il n'y avait aucun danger, cela aurait été un effort vain. Plus tard, la chaleur solaire se chargerait de rendre ces surfaces lisses.
L'ingénieur continuait à fumer tranquillement, doucement bercé par le bateau qui se balançait au vent, attendant d'être remplacé par l'Irlandais qui ronflait bruyamment sous un banc, bien emmitouflé dans sa couverture de laine.
Déjà vers l'est commençait à poindre une lueur incertaine, teignant le ciel de reflets nacrés et faisant pâlir les étoiles, lorsque l'ingénieur fut brusquement arraché à ses méditations par un soufflet lointain, qui semblait s'approcher rapidement.
Il se leva et regarda en dessous de lui ; mais rien ne passait sur la surface noire de l'océan. Il regarda autour de lui et vit, vers l'ouest, trois points de lumière sillonnant l'horizon avec une célérité fantastique.
« Un bateau à vapeur, murmura-t-il, un navire allant en Europe, ou allant aux établissements de la baie d'Hudson.
Soudain, il poussa un cri. Une flamme rouge avait jailli entre ces trois points lumineux, suivie peu après d'une détonation, et un projectile était passé en sifflant entre les deux ballons, retombant dans la mer avec un bruit sourd.



 

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