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Capitolo 14

Le calme tropicali

Alle cinque del mattino i raggi del sole invasero bruscamente lo spazio, illuminando l’oceano fino agli estremi limiti dell’orizzonte. Quasi contemporaneamente, il forte vento che spingeva l’aerostato verso l’est scemò grado a grado, e parve che la corrente si spezzasse, o si disperdesse, come se avesse trovato un ostacolo.
Veniva forse respinta dai venti alisei, che soffiano da levante a ponente, partendo dalle coste del Portogallo e dalla Spagna, e terminando nell’America centrale? L’ingegnere, che temeva d’essere stato trascinato dall'uragano molto al sud, lo supponeva.
Se ciò era vero, per il Washington si preparava un brutto momento, poiché poteva venire afferrato da una grande corrente e ricondotto verso le coste americane, senza che gli arditi aeronauti avessero potuto opporvisi in modo alcuno.
“A mezzodì faremo il punto e sapremo dove ci troviamo” disse Kelly ad O’Donnell che lo interrogava. “Speriamo di non essere discesi tanto al sud.”
Il caldo però cresceva di mano in mano che il sole si alzava sull’orizzonte, e questo era un indizio certo che l’aerostato era stato condotto nelle regioni ardenti del tropico del Cancro. Alle nove il termometro già toccava i 32° Rèaumur ed accennava ad alzarsi ancora.
O’Donnell, abituato ai climi freddi del Canada, cominciava a soffrire assai ed aveva disteso la tenda per difendersi dai morsi di quel sole, diventato così bruscamente insopportabile. Il solo Simone pareva che si trovasse benissimo in quella temperatura elevata: anzi sembrava che si fosse persino calmato, poiché ora se ne stava silenzioso, non aveva più gli sguardi smarriti, né il suo viso manifestava l’impressione paurosa di prima.
Alle dieci il pallone era quasi immobile. Una calma assoluta regnava sopra l’oceano, il quale, col cessare del vento, era ridiventato tranquillo e terso come una immensa lastra azzurra.
“Ci troviamo nelle regioni tropicali” disse l’ingegnere che da qualche minuto osservava la superficie dell’Atlantico.
“Da che cosa lo arguite?” chiese O’Donnell.
“Vedete laggiù volare quegli uccelli?”
L’irlandese si curvò sul bordo della navicella e col cannocchiale vide alcuni volatili dalle penne bianche e nere, le ali forcute, la coda fornita di due lunghe penne, i quali si precipitavano di quando in quando sui flutti con estrema rapidità, per pescare i pesci che guizzano alla superficie.
“Che uccelli sono?” chiese.
“Fetonti, o, come li chiamano i marinai, paglie in coda. Questa specie non si allontana mai dai tropici.”
“Ma come si trovano qui, a una così grande distanza da terra?”
“Sono uccelli dal volo potente e possono in poche ore attraversare incredibili distanze. Chissà? Forse hanno i loro nidi alle Azzorre, o alle Canarie, o alle isole del Capo Verde.”
“Dove ci troviamo noi dunque?”
“Lo sapremo fra un’ora e mezzo. O’Donnell. Il mezzodì non è lontano.”
Durante quell’ora e mezzo il Washington non guadagnò più di dieci miglia: il calore invece aumentò sempre più, toccando i 35 gradi. Se a quell’altezza di 3800 metri era così elevato, quale non doveva essere presso la superficie dell’oceano? Colà il termometro doveva segnare i 40 gradi, se non di più.
A mezzodì preciso, l’ingegnere fece il punto. Fatto rapidamente il calcolo, dopo le osservazione dell’ottante constatò che il Washington si trovava a 17° 15’ di longitudine ovest, ed a 24° 39’ di latitudine nord.
“Siamo a poche miglia dal tropico” diss’egli. “I fetonti non mi avevano ingannato.”
“Dobbiamo aver percorso una distanza immensa da ieri a stamane” disse O’Donnell. “Ieri ci trovavamo a...”
“A 32° 54’ di longitudine e a 30° 7’ di latitudine” disse l’ingegnere.
“Dunque noi abbiamo percorso in ventiquattr’ore?”
“Circa mille miglia verso il sud-est.”
“Sfido qualunque vascello a varcare uno spazio in così breve tempo. Se il vento ci spingesse sempre in tale direzione dove ci trascinerebbe?”
“Verso le isole del Capo Verde.”
“E se ci portasse all’est?”
“Sulle coste del deserto di Sahara.”
“Dove andiamo ora?”
“All’est.”
“Ma gli alisei in questa regione, Mister Kelly?”
“Non sono lontani, e se scendiamo poche decine di leghe verso il sud, li incontreremo. Sapete dove temo di trovarmi?”
“Non lo saprei.”
“Nella zona delle calme del Cancro.”
“Brutta scoperta. Mister Kelly.”
“Terribile, O’Donnell, poiché queste calme possono tenerci immobili, o quasi, per parecchi giorni e forse per delle settimane. Il nostro aerostato ha, si può dire le ore contate e cadrà in pieno oceano.”
“Ma abbiamo la navicella.”
“È vero; ma le nostre provviste sono limitate, e soprattutto l’acqua comincia a scemare rapidamente, con questo calore intenso.”
“Diavolo! La cosa è più seria di quanto credessi, Mister Kelly. Tuttavia non disperiamo: chissà che questa calma si rompa ben presto e il vento ci sospinga sulle coste africane.”
Quella calma che li imprigionava non accennava a cambiarsi. Pareva che le correnti aeree si fossero disperse, o che il calore solare le avesse assorbite, poiché non soffiava il più leggero alito di vento, né in alto, né presso la superficie dell’oceano, che era liscia come un cristallo. Solo il caldo aumentava in modo inquietante, facendo rapidamente svaporare la provvista di acqua racchiusa nei barili di alluminio. Per colmo di sventura, l’idrogeno sfuggiva attraverso i pori della seta. Si era guastata la vernice in qualche punto, a causa dell’umidità depositata sugli aerostati dalle nubi, o si scioglieva invece per l’estremo calore? Forse per un motivo, o per l’altro, la forza ascensionale del Washington era scemata, e verso le punte estreme dei due immensi fusi tornavano a disegnarsi delle pieghe. Da tremilaseicento metri, in otto ore, era disceso di quasi cinquecento. Se non avessero gettato quel sacco di zavorra, sarebbe forse disceso di altri mille.
L’ingegnere tuttavia non si sgomentava, possedeva ancora i suoi quattrocento metri cubi di idrogeno e circa seicentocinquanta chili di zavorra, o con questi mezzi calcolava di mantenere in aria il suo aerostato parecchi giorni ancora. Scomparso il sole, la discesa del Washington si accentuò e divenne ben presto assai rapida, abbassandosi la temperatura di parecchi gradi in pochi quarti d’ora. Alle dieci non era che a duecento metri dalla superficie dell’oceano. Prevedendo un’altra caduta e volendo risparmiare la zavorra più che poteva, l’ingegnere fece gettare la guide-rope unitamente ai due coni e all’àncora a branchi.
Poiché gli oggetti immersi in acqua perdevano una parte del loro peso specifico, con tale manovra si scaricava l’aerostato di un peso non disprezzabile. Infatti, il Washington malgrado la temperatura continuasse a scemare, arrestò la sua discesa, mantenendo i suoi duecento metri.
Quella prima notte, passata fra le calme del tropico, fu tranquilla. L’aerostato rimase perfettamente immobile, lasciando agio agli aeronauti di riposare comodamente. L’ingegnere però, che dormiva con un solo occhio, fu svegliato più volte dai balzi dei pesce-cani, i quali si erano radunati in parecchi sotto il Washington urtando più volte i due coni e l’ancorotto. All’alba il sole apparve all’orizzonte bruscamente, fugando le tenebre, e la temperatura, che era scesa a 28 gradi, salì quasi istantaneamente a 34 gradi. Il Washington parve che si svegliasse di colpo e s’innalzò lentamente nell’aria, ma quasi a malincuore. stentatamente. Quegli uomini, quella zavorra, quel battello e tutti gli oggetti che conteneva, cominciavano a diventare pesanti per le sue forze, che a poco a poco s’indebolivano, pari a quelle d’un ferito che perde lentamente il proprio sangue.
Tuttavia risali fino a settecento metri, e toccata quell’altezza, incontrò una debole corrente d’aria che si dirigeva verso l’est, ma con una leggera deviazione verso il sud-est.
“Hum!” fece O’Donnell, che si era svegliato. “Siamo un po’ ammalati, Mister Kelly. Le forze del vostro valoroso Washington se ne vanno, e bisognerà rinvigorirle.”
“Lo credo, O’Donnell.” rispose l’ingegnere. “Se questa calma continua, non so che accadrà di noi.”
“A che velocità ci spostiamo?”
“Appena sette miglia all’ora.”
“Diavolo! Il nostro Washington è diventato una lumaca! Ditemi, Mister Kelly: vi sono stati degli aeronauti che sono precipitati in mare coi loro palloni?”
“Molti, come ve ne sono stati molti che si sono schiacciati contro terra.”
“La lista dei naufragi aerei deve essere immensamente lunga, Mister Kelly.”
“Meno di quello che si crede, O’Donnell, e le catastrofi avvenute si devono quasi sempre alle imprudenze degli aeronauti. Si calcola che siano state fatte, dalla scoperta dei palloni, più di ventimila ascensioni, e le disgrazie non superano forse il centinaio.”
“Devono però essere state tremende!”
“Questo è vero. O’Donnell, poiché quando un pallone scoppia o precipita, nessuna manovra può salvare l’aeronauta.”
“Chi sono stati i primi a fare quel terribile capitombolo?”
“Pilâtre, il rivale di Blanchard, e il suo compagno Romain, furono le prime vittime della scienza aerostatica. Si erano innalzati da Boulogne il 15 giugno del 1785, per tentare la traversata della Manica e scendere in Inghilterra, con un pallone munito di un fornello, il quale doveva mantenere il gas continuamente dilatato, introducendo una corrente d’aria calda in una specie di tubo. Volendo innalzarsi di più, invece di spegnere il fornello, lo attivarono, e il pallone scoppiò con un rimbombo formidabile. I due disgraziati piombarono a terra, sfracellandosi in mezzo a un bosco, a circa quattro chilometri dalla città, accanto a una torre che esiste ancora. Pilâtre fu ucciso sul colpo: il suo compagno respirò alcuni minuti, poi morì, senza aver pronunciato una parola. Una modesta colonna, situata all’estremità d’una prateria, ricorda la tragica fine di quelle prime vittime dell’aerostatica. Zambeccari, ardito aeronauta italiano, che diede un grande impulso all’aerostatica, fu un’altra vittima. Sfuggito miracolosamente alla morte in pieno Adriatico, sul quale il vento lo aveva trascinato dopo essersi innalzato da Bologna il 21 Ottobre 1804, alcuni anni più tardi morì bruciato sotto gli occhi della moglie, dei figli e d’un numero immenso di spettatori, essendosi rovesciata la lampada che serviva a dilatare il gas. Il suo corpo fu trovato carbonizzato.”
“Quale orribile fine!” esclamò O’Donnell, rabbrividendo.
“Nel 1802 Olivari s’innalzò con una semplice mongolfiera di carta: il suo pallone prese fuoco, e quell’audace precipitò al suolo, sfracellandosi.”
“E aveva avuto l’audacia di salire con un pallone di carta?”
“Sì, O’Donnell, ma simili audacie si chiamano pazzie. Il 7 Aprile 1806 Momesent s’innalzò con un pallone fornito d’una tavola invece di una navicella, per renderlo più leggero. L’aeronauta perdette l’equilibrio e andò a schiantarsi nei fossati della città di Lilla, scavandosi da se stesso una tomba nella sabbia.”
“Che capitombolo!”
“Il 17 Luglio 1812 Bittorf salì con una mongolfiera di carta e morì come Olivari, vittima della sua imprudenza. Più tardi precipitarono i fratelli Brachet, che alla navicella avevano sostituito un contrappeso. Non avendo potuto rallentare la discesa del pallone, si sfracellarono contro terra. Il 6 Luglio 1819 è una donna che cade vittima della sua audacia, la prima che avesse osato lanciarsi nelle alte regioni dell’aria. È la signora Blanchard: piombò sul tetto di una casa a Parigi e rimase uccisa.”
“Povera signora!”
“Dimenticavo La Mountain un imprudente alzatosi il 4 Luglio 1874 con una mongolfiera a Jone, nel Michigan. Invece di imprigionare il pallone nella rete, come si usò sempre, aveva avuto la disgraziata idea di racchiuderlo fra delle funi non arretate: queste si ravvicinarono le une alle altre, la mongolfiera uscì e lo sventurato aeronauta precipitò insieme alla navicella e alle corde penzolanti, schiacciandosi su di un campo, sotto gli occhi di migliaia di spettatori terrorizzati.
Dimenticavo Durof, innalzatosi il 31 Agosto 1874 a Calais assieme alla sua giovane moglie. Fu questo uno dei più drammatici naufragi aerei. Il suo aerostato, che si chiamava Tricolore, venne trascinato sull’oceano e dopo dodici ore cadde fra le onde. Marito e moglie, aggrappati al cerchio, lottarono disperatamente fra i marosi che cercavano di strapparli dal cerchio e d’inghiottirli, finché la giovane donna svenne. Suo marito la sostenne e non lasciò il cerchio. Una nave li scorse, gettò in acqua un canotto ed ebbe la fortuna di salvarli!
L’ultima catastrofe fu quella dello Zenith il pallone montato da Croce-Spinelli, Silvel e Tissandier. Voi sapete che solo quest’ultimo si salvò.”
“E un’ecatombe di aeronauti. Mister Kelly.”
“V’ingannate, O’Donnell. Forse, in ventimila viaggi fatti dalle navi, le vittime inghiottite dagli oceani sono più numerose.”
“E dite che queste catastrofi si devono alle imprudenze degli aeronauti?”
“Sì, ma talvolta anche degli spettatori, del popolo che assiste alle ascensioni e che non tiene conto dei pericoli ai quali vanno incontro gli aeronauti. Fu il popolo che costringe Zambeccari a fare l’ascensione del 21 Ottobre 1804 a Bologna. L’aeronauta non voleva partire, essendo il vento sfavorevole; ma fu beffeggiato, chiamato codardo, ed egli partì con due compagni, Andreoli e Grassetti, senza aver preso cibo, con il fiele sulle labbra, con la disperazione nell’anima: trascinati sopra l’Adriatico, furono salvati per miracolo da un bastimento. Nel 1812, il 21 Settembre, quello stesso popolo bolognese lo forzò ad affrettare l’ascensione: il pallone s’incendiò e il disgraziato morì bruciato vivo. Ad Arban toccò una sorte consimile, a causa del popolo triestino, che l'8 Settembre 1846 lo costrinse con ingiurie e minacce a innalzarsi malgrado il vento contrario, senza corda-guida, senza un’ancora, e venne raccolto morente in mezzo all’Adriatico. Ma quell’uomo era predestinato a venire inghiottito dal mare. Infatti, alcuni anni più tardi s’innalzava a Barcellona e...”
L’ingegnere non proseguì, si era girato verso l’est e i suoi occhi parevano fissi su qualche cosa.
“Scorgete qualche nave?” gli chiese O’Donnell.
“Non so che cosa sia, ma vedo laggiù un punto nero, che mi sembra immobile.”

 

 Chapitre 14

Calmes tropicaux

À cinq heures du matin, les rayons du soleil ont brusquement envahi l'espace, illuminant l'océan jusqu'au bord de l'horizon. Presque simultanément, le vent fort qui poussait l'aérostat vers l'est diminua de degré en degré, et il sembla que le courant se brisa, ou se dispersa, comme s'il avait trouvé un obstacle.
Aurait-elle été repoussée par les alizés, qui soufflent d'est en ouest, partant des côtes du Portugal et de l'Espagne, et se terminant en Amérique centrale ? L'ingénieur, qui craignait d'avoir été entraîné par l'ouragan loin au sud, le supposa.
Si cela était vrai, un mauvais moment se préparait pour le Washington, car il pouvait être pris par un grand courant et repoussé vers les côtes américaines, sans que les audacieux aéronautes puissent s'y opposer de quelque manière que ce soit.
"A midi, nous ferons le point et nous saurons où nous en sommes", a dit Kelly à O'Donnell qui l'a interrogé. "Espérons que nous ne sommes pas descendus si loin au sud."
La chaleur, cependant, s'est accrue au fur et à mesure que le soleil s'élevait au-dessus de l'horizon, ce qui indiquait clairement que l'aérostat avait été conduit dans les régions enflammées du tropique du Cancer. À neuf heures, le thermomètre frôlait déjà les 32° Rèaumur et laissait entrevoir une nouvelle hausse.
O'Donnell, habitué aux climats froids du Canada, commençait à souffrir énormément et avait étendu sa tente pour se protéger de la morsure du soleil, devenue si brusquement insupportable. Simone seul semblait se porter très bien dans cette température élevée : il semblait même s'être calmé, car il se tenait maintenant tranquillement, ses yeux n'étaient plus déconcertés, et son visage ne montrait plus l'impression de peur d'avant.
A dix heures, le ballon était presque immobile. Un calme absolu régnait sur l'océan qui, avec la cessation du vent, était redevenu calme et clair comme une immense nappe bleue.
"Nous sommes dans les régions tropicales", dit l'ingénieur, qui observe la surface de l'Atlantique depuis quelques minutes.
"De quoi déduisez-vous cela ?" a demandé O'Donnell.
"Vous voyez ces oiseaux qui volent là-bas ?"
L'Irlandais se pencha sur le bord du navire et, à l'aide de sa lunette, aperçut des oiseaux aux plumes noires et blanches, aux ailes fourchues, à la queue munie de deux longues plumes, qui de temps en temps se précipitaient sur les vagues avec une extrême rapidité, pour attraper les poissons qui s'élançaient à la surface.
"Quels sont ces oiseaux ?" a-t-il demandé.
"Phaétons", ou, comme les marins les appellent, "queue de pie". Cette espèce ne s'éloigne jamais des tropiques."
"Mais comment les trouve-t-on ici, à une si grande distance de la terre ?"
"Ce sont des oiseaux au vol puissant qui peuvent franchir des distances incroyables en quelques heures. Qui sait ? Peut-être qu'ils ont leurs nids aux Açores, ou aux Canaries, ou aux îles du Cap-Vert."
"Où sommes-nous alors ?"
"Nous le saurons dans une heure et demie. O'Donnell. Midi n'est pas loin."
Pendant cette heure et demie, les Washington n'ont pas gagné plus de dix miles : au contraire, la chaleur est montée de plus en plus haut, atteignant les 35 degrés. Si à cette hauteur de 3800 mètres, elle était si haute, que ne devrait-elle pas être à la surface de l'océan ? Là, le thermomètre a dû marquer 40 degrés, si ce n'est plus.
A midi pile, l'ingénieur a fait le point. Faisant rapidement le calcul, après les observations de l'octant, il trouva que Washington était à 17° 15' de longitude ouest, et 24° 39' de latitude nord.
"Nous ne sommes qu'à quelques kilomètres du tropique", a-t-il dit. "Les phaétons ne m'avaient pas trompé."
"Nous avons dû parcourir une distance immense entre hier et ce matin", dit O'Donnell. "Hier, nous étions à..."
"A 32° 54' de longitude et 30° 7' de latitude," dit l'ingénieur.
"Nous avons donc voyagé en vingt-quatre heures ?"
"Environ mille kilomètres au sud-est."
"Je mets au défi n'importe quel vaisseau de traverser un espace en si peu de temps. Si le vent nous poussait toujours dans cette direction, où nous entraînerait-il ?"
"Vers les îles du Cap-Vert".
"Et si ça nous amenait à l'est ?"
"Jusqu'aux rives du désert du Sahara."
"Où allons-nous maintenant ?"
"A l'est."
"Mais les vents alizés dans cette région, Monsieur Kelly ?"
" Ils ne sont pas loin, et si nous descendons de quelques dizaines de lieues vers le sud, nous les rencontrerons. Savez-vous où j'ai peur d'être ?"
"Je ne saurais le dire."
"Dans le calme du cancer."
"Mauvaise découverte. Monsieur Kelly."
"Terrible, O'Donnell, car ces calmes peuvent nous maintenir immobiles, ou presque, pendant plusieurs jours, voire des semaines. Notre aérostat a, on peut le dire, ses heures comptées et va tomber en pleine mer."
"Mais nous avons le vaisseau."
"C'est vrai ; mais nos réserves sont limitées, et surtout l'eau commence à s'épuiser rapidement avec cette chaleur intense."
"L'enfer ! C'est plus sérieux que je ne le pensais, M. Kelly. Cependant, ne désespérons pas : qui sait, peut-être que ce calme va bientôt se briser et que le vent nous poussera vers la côte africaine."
Le calme qui les emprisonnait ne donnait aucun signe de changement. On aurait dit que les courants d'air s'étaient dissipés, ou que la chaleur du soleil les avait absorbés, car pas le moindre souffle de vent ne soufflait, ni au-dessus ni près de la surface de l'océan, qui était aussi lisse que du cristal. Seule la chaleur a augmenté de façon inquiétante, provoquant l'évaporation rapide de l'eau contenue dans les barils d'aluminium. Par malheur, de l'hydrogène s'est échappé par les pores de la soie. La peinture avait-elle cédé quelque part, à cause de l'humidité déposée sur les ballons par les nuages, ou était-elle en train de fondre à cause de la chaleur extrême ? Peut-être pour une raison ou une autre, la force ascendante de Washington avait diminué, et vers les extrémités des deux immenses fuseaux, des plis étaient à nouveau dessinés. De trois mille six cents mètres, en huit heures, il en avait descendu presque cinq cents. S'ils n'avaient pas jeté ce sac de lest, il aurait pu descendre encore mille fois.
L'ingénieur ne se découragea pas pour autant : il avait encore ses quatre cents mètres cubes d'hydrogène et environ six cent cinquante kilos de lest, et il calcula qu'il pourrait maintenir son ballon en l'air pendant plusieurs jours encore. Au fur et à mesure que le soleil disparaissait, la descente de Washington s'accentuait et devenait rapidement très rapide, la température chutant de plusieurs degrés en quelques quarts d'heure. À dix heures, il n'est plus qu'à deux cents mètres de la surface de l'océan. Prévoyant une nouvelle chute et voulant économiser le plus de lest possible, le mécanicien a fait jeter la corde de guidage ainsi que les deux cônes et l'ancre de haute mer.
Comme les objets immergés dans l'eau perdent une partie de leur poids spécifique, cette manœuvre soulage le ballon d'un poids non négligeable. En effet, le Washington, bien que la température continue de baisser, a stoppé sa descente, maintenant son altitude de deux cents mètres.
Cette première nuit, passée dans le calme des tropiques, fut paisible. L'aérostat est resté parfaitement immobile, permettant aux aéronautes de se reposer confortablement. Cependant, le mécanicien, qui ne dormait que d'un œil, a été réveillé à plusieurs reprises par les sauts des roussettes, qui s'étaient rassemblées en grand nombre sous le Washington, se heurtant plusieurs fois aux deux cônes et au mouillage. À l'aube, le soleil est apparu brusquement à l'horizon, dissipant l'obscurité, et la température, qui était descendue à 28 degrés, est remontée presque instantanément à 34 degrés. Les Washington semblent se réveiller soudainement et s'élèvent lentement dans les airs, mais presque à contrecœur. à peine. Ces hommes, ce lest, ce bateau et tous les objets qu'il contenait, commençaient à devenir lourds pour ses forces, qui s'affaiblissaient peu à peu, comme celles d'un blessé qui perd lentement son sang.
Cependant, il s'est élevé jusqu'à sept cents mètres, et ayant touché cette hauteur, il a rencontré un faible courant d'air se dirigeant vers l'est, mais avec une légère déviation vers le sud-est.
"Hum !" a grogné O'Donnell, qui s'était réveillé. "Nous sommes un peu malades, Monsieur Kelly. Les forces de votre galant Washington s'en vont, et auront besoin d'être revigorées."
"Je le crois, O'Donnell", a répondu l'ingénieur. "Si ce calme continue, je ne sais pas ce qu'il adviendra de nous."
"A quelle vitesse on avance ?"
"A peine 11 km par heure."
"L'enfer ! Notre Washington est devenu un escargot ! Dites-moi, M. Kelly : des aviateurs se sont-ils écrasés dans la mer avec leurs ballons ?"
"Beaucoup, comme il y en a eu beaucoup qui se sont écrasés contre la terre."
"La liste des épaves aériennes doit être immensément longue, Mr Kelly."
"Moins qu'on ne le croit, O'Donnell, et les catastrophes qui se sont produites sont presque toujours dues à l'imprudence des aéronautes. On estime que plus de vingt mille ascensions ont été effectuées depuis la découverte des ballons, et les malheurs ne dépassent peut-être pas une centaine."
"Ils ont dû, cependant, être terribles !"
"C'est vrai. O'Donnell, car lorsqu'un ballon éclate ou tombe, aucune manœuvre ne peut sauver l'aéronaute."
"Qui étaient les premiers à faire cette terrible chute ?"
"Pilâtre, le rival de Blanchard, et son compagnon Romain, furent les premières victimes de la science aérostatique. Ils s'étaient levés de Boulogne le 15 juin 1785, pour tenter la traversée de la Manche et descendre en Angleterre, avec un ballon équipé d'un cuiseur, qui devait maintenir le gaz continuellement dilaté en introduisant un courant d'air chaud dans une sorte de tube. Voulant aller plus haut, au lieu d'éteindre la cuisinière, ils l'ont allumée, et le ballon a éclaté dans un grondement formidable. Les deux malheureux ont dégringolé au sol, s'écrasant au milieu d'une forêt, à environ quatre kilomètres de la ville, à côté d'une tour qui existe toujours. Pilâtre fut tué sur le coup : son compagnon respira pendant quelques minutes, puis mourut, sans avoir prononcé un mot. Une modeste colonne, située au bout d'une prairie, commémore la fin tragique de ces premières victimes de l'aérostatique. Zambeccari, un audacieux aéronaute italien, qui a donné un grand élan à l'aérostatique, est une autre victime. Il échappa miraculeusement à la mort au milieu de la mer Adriatique, sur laquelle le vent l'avait emporté après son décollage de Bologne le 21 octobre 1804. Quelques années plus tard, il fut brûlé vif sous les yeux de sa femme, de ses enfants et d'un grand nombre de spectateurs, la lampe utilisée pour dilater le gaz s'étant renversée. Son corps a été retrouvé carbonisé."
"Quelle fin horrible !" s'exclame O'Donnell en frissonnant.
"En 1802, Olivari s'est élevé dans un simple ballon en papier : son ballon a pris feu, et l'audacieux a plongé vers le sol, s'écrasant."
"Et il a eu l'audace de monter dans un ballon en papier ?"
"Oui, O'Donnell, mais une telle audace s'appelle de la folie. Le 7 avril 1806, Momesent fait l'ascension avec un ballon équipé d'une planche au lieu d'un vaisseau, pour le rendre plus léger. L'aéronaute perd son équilibre et s'écrase dans les fossés de la ville de Lille, se creusant une tombe dans le sable."
"Quelle chute !"
"Le 17 juillet 1812, Bittorf s'élève dans un ballon en papier et meurt comme Olivari, victime de sa propre témérité. Plus tard, les frères Brachet, qui avaient substitué un contrepoids au navire, se sont écrasés. Incapables de ralentir la descente du ballon, ils s'écrasent au sol. Le 6 juillet 1819, une femme est victime de son audace, la première qui avait osé se lancer dans les hautes régions de l'air. C'est Mme Blanchard : elle a plongé sur le toit d'une maison à Paris et a été tuée."
"Pauvre dame !"
"J'ai oublié La Montagne qu'un homme téméraire s'est levé le 4 juillet 1874 avec un ballon à air chaud à Jone, Michigan. Au lieu d'emprisonner le ballon dans le filet, comme c'était la coutume, il eut la malencontreuse idée de l'enfermer dans des cordes qui n'avaient pas été rétractées : celles-ci se rapprochèrent, le ballon s'envola, et le malheureux aéronaute tomba avec le ballon et les cordes qui pendaient, s'écrasant sur un champ, sous les yeux de milliers de spectateurs terrifiés.
J'ai oublié Durof, qui s'est levé le 31 août 1874 à Calais avec sa jeune épouse. C'est l'un des naufrages aériens les plus spectaculaires. Son ballon, baptisé Tricolore, est traîné au-dessus de l'océan et tombe dans les flots au bout de douze heures. Le mari et la femme, accrochés au cerceau, se débattent désespérément parmi les flots qui tentent de les arracher du cerceau et de les avaler, jusqu'à ce que la jeune femme s'évanouisse. Son mari l'a soutenue et n'a pas quitté le cercle. Un navire les a repérés, a jeté un canot à l'eau et a eu la chance de les sauver !
La dernière catastrophe fut celle du Zénith : le ballon monté par Croce-Spinelli, Silvel et Tissandier. Vous savez que seul ce dernier a été sauvé."
"Et un massacre d'aéronautes". M. Kelly."
"Vous vous trompez vous-même, O'Donnell. Peut-être que, sur vingt mille voyages effectués par les navires, les victimes avalées par les océans sont plus nombreuses."
"Et vous dites que ces catastrophes sont dues à l'imprudence des aéronautes ?".
"Oui, mais parfois aussi des spectateurs, des personnes qui regardent les ascensions et qui ne prennent pas en compte les dangers auxquels les aéronautes sont exposés. Ce sont eux qui ont obligé Zambeccari à faire l'ascension du 21 octobre 1804 à Bologne. L'aéronaute ne voulait pas partir, car le vent était défavorable ; mais on se moquait de lui, on le traitait de lâche, et il partit avec deux compagnons, Andreoli et Grassetti, sans avoir pris de nourriture, le fiel aux lèvres, le désespoir dans l'âme : traînés sur l'Adriatique, ils furent sauvés par miracle par un navire. En 1812, le 21 septembre, ces mêmes Bolognais l'obligent à hâter son ascension : le ballon prend feu et le malheureux est brûlé vif. Arban subit un sort similaire, dû aux habitants de Trieste qui, le 8 septembre 1846, l'obligèrent par des insultes et des menaces à faire l'ascension malgré le vent de face, sans corde de guidage, sans ancre, et il fut recueilli mourant au milieu de l'Adriatique. Mais l'homme était prédestiné à être englouti par la mer. En fait, quelques années plus tard, il s'est élevé à Barcelone et..."
L'ingénieur n'a pas continué, il s'était tourné vers l'est et ses yeux semblaient fixés sur quelque chose.
"Vous apercevez des bateaux ?" a demandé O'Donnell.
"Je ne sais pas ce que c'est, mais je vois là-bas un point noir, qui me semble immobile."



 

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