365MB
365MB

1
| 2 | 3 | 4 | 5 | 6 | 7 | 8 | 9 | 10 | 11 | 12 | 13 | 14 | 15 | 16 | 17 | 18 | 19 | 20 | 21 | 22 | 23 | 24 | 25 | 26 | 27

 

Capitolo 19

Il naufrago

Il Washington pareva aver incontrato una buona corrente aerea. Infatti, la sua velocità, che poche ore prima era di dieci o di dodici chilometri, aumentava di minuto in minuto, allontanandolo da quella pericolosa zona delle calme del Tropico e lo trascinava non più verso le regioni ardenti dell'equatore, ma verso climi più freschi, essendo cambiata la sua direzione.
Ora filava con una rapidità di 42 chilometri all’ora, tendendo ad avvicinarsi alle coste settentrionali dell’Africa e più precisamente a quelle dell’Impero marocchino o del gran deserto del Sahara. È vero che la distanza da superare era immensa poiché, secondo l’ultimo calcolo fatto dall'ingegnere avevano raggiunto appena il 21° meridiano, ma con l’aerostato si possono superare in sole dodici ore parecchie centinaia di miglia, anche con vento moderato.
“Se continuiamo così,” disse l’ingegnere all’irlandese, che aveva finito di mangiare e che ora fumava un’eccellente sigaretta, comodamente sdraiato a prua, “vi prometto di farvi vedere ben presto terra.”
“La costa africana?”
“Non ho questa pretesa, O’Donnell, ma se il vento si mantiene stabile, noi avvisteremo domani sera o dopodomani, le prime Canarie.”
“Siamo spinti verso quelle isole?”
“Sì.”
“Bella occasione per andare a vuotare una bottiglia di eccellente Madera.”
“Beone!”
“Quanto distiamo dal continente africano?”
“Circa 1400 miglia in linea retta, ma noi seguiamo ora una linea obliqua che raddoppierà la distanza”.
“Una miseria per il nostro pallone. Per Giove e Saturno, è stata una grande e meravigliosa invenzione quella dei palloni, Mister Kelly.”
“Lo credo, O’Donnell.”
“È ai fratelli Montgolfier che si deve il merito della scoperta?”
“Spetta a loro il merito di aver fatto librare il primo pallone, ma prima di essi altri valenti uomini avevano cercato di innalzarsi nelle alte regioni dell’aria, e forse non sono riusciti per il poco sviluppo raggiunto ai loro tempi dalla fisica e dalla meccanica. Come sempre, gli italiani, che furono alla testa di ogni scoperta, figurano tra i primi ed è uno dei loro grandi uomini, Leonardo da Vinci, che espresse la possibilità di mantenersi in aria. Francesco Lana, anche questi italiano, nel 1670, in una sua memoria pubblicata nella città di Brera, proponeva di fare il vuoto entro due solidissime lastre di rame assicurando che si sarebbero innalzate. Poi vengono gli inglesi, Cavendish nel 1766 dimostra che l’aria infiammabile è più leggera dell’atmosfera; Black nel 1767 asserisce che un pallone si sarebbe innalzato. L’onore di lanciare il primo spetta a un italiano, Cavalli, nel 1782, ma la sua scoperta viene soffocata dall’entusiasmo suscitata dai fratelli Giacomo e Giuseppe Montgolfìer i quali, il 5 giugno 1783, cioè un anno dopo, lanciano la prima mongolfiera ad aria calda.”
“Ma allora il merito di aver innalzato il primo pallone spetta a Cavalli e non ai fratelli Montgolfìer?”
''Sì O’Donnell, ma gli italiani hanno sempre avuto la disgrazia di non far valere i meriti delle loro invenzioni e di lasciarsele poi rubare dagli stranieri. Ai francesi spetta invece il merito di aver dato una grande spinta alla meravigliosa scoperta, e primi fra tutti figurano Blanchard e Pilâtre. Questo Blanchard, un astuto e audace normanno, pretendeva anzi di aver trovato il modo di dirigere i palloni.”
“Ma se questo modo non si è trovato nemmeno oggi!” esclamò O’Donnell.
“Eppure Blanchard diceva di averlo trovato e per dimostrarlo intraprese la traversata della Manica. Dotato di una certa immaginazione, munisce il suo pallone di una specie di parapioggia, la sua navicella di un timone e di remi che erano mossi da una manovella di sua invenzione, e fa le prime ascensioni, le quali naturalmente lo persuadono dell’inutilità dei suoi oggetti. Nondimeno assicura di aver ottenuto dei brillanti successi e il 7 gennaio 1785 s’innalza sulla roccia di Shakespeare, sulle rive inglesi della Manica, in compagnia del dottor Jeffrey, prendendo con sé un sacco di dispacci. Quella volta però al suo parapioggia aveva sostituito una specie di ventilatore, ripromettendosi di operare meraviglie. Il vento li spinge sopra la Manica, ma per errore di equilibrio, gli aeronauti sono costretti a gettare subito dieci sacchi di zavorra, poi gettano i viveri, le tappezzerie di seta della navicella, i loro mantelli e finalmente anche quel famoso ventilatore, i remi e il timone che essi sapevano essere di nessuna utilità, e discendono a Calais, dopo aver seguito semplicemente il filo del vento. Blanchard proclamò sfrontatamente di aver scoperto il modo di dirigere gli aerostati e il pubblico ebbe il torto di credergli. Gli abitanti di Calais gli conferirono la cittadinanza, quel Consiglio municipale acquistò ad alto prezzo il pallone che si conserva tuttora nel Museo di quella città, fu eretta una colonna in memoria di quella traversata e il re di Francia assegnò al furbo aeronauta una pensione annua di mille scudi. Quella semplice traversata bastò per rendere Blanchard celebre e in seguito milionario.”
“Che cosa saremmo diventati noi se avessimo annunciato ed eseguito, a quei tempi, la traversata dell'Atlantico?”
“Uomini immortali, O’Donnell,” disse l’ingegnere ridendo.
“E invece ci prendono a cannonate!”
“L'italiano Zambeccari, lo sventurato aeronauta che morì bruciato, un uomo intelligente e ardito, tiene uno dei primi posti tra i primi navigatori dell’aria, per le sue innumerevoli ascensioni e le sue scoperte. Egli diede ai palloni e alle mongolfiere esatte proporzioni, regolando la forza ascensionale degli uni e delle altre, e modificò notevolmente il sistema adottato da Pilâtre, sostituendo alla paglia, che questi bruciava nel camino per dilatare il gas, una lampada ad olio minerale, ed eliminando il tubo conduttore, avendo constatato la sua assoluta inutilità. Poi viene Robert, poi altri italiani, i Lunardi, gli Andreoli e tanti altri, che apportarono dei miglioramenti negli aerostati e si studiarono di cercarne, ma senza soddisfacenti risultati finora, la direzione.”
“Una domanda. Mister Kelly.”
“Parlate.”
“Se si costruisse un pallone immenso, di una forza ascensionale enorme, potrebbe giungere fino alla luna?”
“Avete intenzione di andarvi a stabilire sulla luna, O’Donnell?” chiese l’ingegnere, schiattando in una fragorosa risata. “Il vostro progetto sarebbe inattuabile, amico mio, perché pare che a una certa altezza l’idrogeno si tramuti in aria calda.”
“Per quale motivo?”
“I fisici non sono ancora riusciti a spiegare questo strano fenomeno. Io so che fu lanciato un pallone dotato di una certa forza ascensionale, privo della navicella e di aeronauti ma munito di strumenti atti a precisare e a conservare le altezze che doveva toccare. Quell’aerostato raggiunse i 20.000 metri, poi cadde precipitosamente, e quando fu ripreso si trovò che conteneva aria calda.”
“Allora rinuncio al mio progetto, Mister Kelly,” disse O’Donnell.
“Vi credo, tanto più che a 20.000 metri sareste morto congelato e asfissiato, senza vedere la luna ingrandita di un millimetro.”
Mentre così discorrevano, la notte era calata e l’aerostato aveva ripreso la sua discesa con una certa rapidità, trovandosi nel mezzo di una corrente di aria piuttosto fredda, quantunque non avesse abbandonato gli ardenti paraggi del tropico. Alle nove aveva già toccato i mille metri e non accennava ad arrestarsi; alle dieci, solo seicento metri lo dividevano dall’oceano. O’Donnell, che era assai stanco si coricò a poppa, mentre l’ingegnere si sedeva a prua fumando una sigaretta, in attesa che trascorresse il suo quarto di guardia. Il vento si manteneva sempre fresco, trasportando il Washington con la velocità di sedici miglia all’ora, ma aveva subito una notevole modificazione nella direzione poiché ora soffiava verso il nord.
Mister Kelly non si inquietava però, anzi si rallegrava quantunque non si avvicinasse alle coste africane. Egli sperava di raggiungere i paralleli europei e di trovare, più tardi, una corrente che lo spingesse verso la Spaglia o il Portogallo.
Verso le undici, volendo guardare i suoi strumenti per accertarsi dell’altitudine e della velocità del vento, accese una candela. Si era appena alzato per accostarsi alla murata di babordo, alla quale erano appesi gli strumenti, quando gli parve di udire echeggiare un grido. Sorpreso al massimo grado, guardò in alto, credendo che lo avesse emesso qualche grosso uccello marino, ma non vide nulla traversare il cielo stellato: guardò giù, ma nulla distinse sulla nera superficie dell’oceano.
“È strano,” esclamò. “Che qualche nave passi sotto di noi? Una nave! Ma si vedrebbero i fanali di posizione, mentre sull’oceano non scorgo alcun punto luminoso.”
Ascoltò alcuni minuti, tendendo gli orecchi e questa volta udì distintamente una voce umana che sbalzava dall’oceano.
“O’Donnell!” gridò.
L’irlandese che aveva il sonno leggero si svegliò bruscamente.
“Tocca il quarto?” chiese.
“Non ancora, ma volevo chiedervi se avete udito un grido.”
“No, Mister Kelly: dormivo come un ghiro.”
“Udite...”
Un grido come una chiamata disperata, era giunto ai loro orecchi. Pareva che venisse dal nord, cioè nella direzione in cui l’aerostato veniva spinto.
O’Donnell benché non fosse superstizioso mormorò:
“Che sia la voce del negro?... Si dice che i morti sull’oceano riappaiono.”
“Fole di marinai,” disse l’ingegnere.
“Ma chi supponete che sia? Qualche grosso pesce forse?”
“No: era un grido umano.”
“Zitto...”
“Ancora?”
Nelle tenebre si udì distintamente una voce argentina, una voce quasi da fanciullo, a gridare: “Help!... Help!”
Kelly e l’irlandese si curvarono sul bordo della scialuppa e scrutarono avidamente la nera distesa dell'Atlantico, sperando di scorgere qualche cosa, ma l’oscurità era troppo intensa.
“È un inglese!” esclamò O’Donnell.
“O un americano,” disse l’ingegnere.
“E mi parve la voce di un fanciullo.”
“Forse è un naufrago.”
“E lo lasceremo perire, Mister Kelly?”
“Ah no!” Fece con le mani una specie di portavoce e gridò con voce tonante: “Chi siete?”
“Un naufrago,” rispose la voce di prima.
“Siete solo?”
“Solo.”
“Potete mantenervi a galla fino all’alba?”
“Monto un canotto.”
“Siete un ragazzo?”
“Un mozzo.”
“Vi salveremo.”
“Grazie, buon signore!”
“Non perdiamo tempo, O’Donnell,” disse l’ingegnere. “Il vento ci trasporta con notevole difficoltà e non bisogna scendere fuori di vista.”
“Sacrificheremo dell’altro gas?”
“È necessario, O’Donnell. Fortunatamente l’idrogeno è condensato, e non ne perderemo molto per abbassarci di cinque o di seicento metri.”
Impugnò le due funicelle che pendevano dai due fusi e con uno strappo aprì le due valvole di sfogo. Tosto in alto udirono dei leggeri scoppiettii e si sparse intorno alla navicella un acuto odore d’idrogeno.
“Spegnete la candela,” disse l’ingegnere.
O’Donnell obbedì, poi calò le due àncore a cono per rallentare la discesa e frenare il pallone. Il Washington si abbassava con un largo dondolio, descrivendo di quando in quando dei giri concentrici.
“Basta,” disse l’ingegnere, lasciando andare le due funicelle.
Le due valvole si chiusero, ma l’aerostato continuò ad abbassarsi con notevole rapidità. I due coni e la guide-rope sommersero e tosto rallentarono la sua marcia discendente, mantenendolo a sessanta metri dalla superfìcie dell’oceano.
“Vedete nulla?” chiese O’Donnell all’ingegnere che aveva puntato un canocchiale da notte.
“Sì, mi pare di scorgere una piccola striscia nera scivolare sull’oceano.”
“È lontana?”
“Tre o quattro chilometri.”
“Allora fra poco il naufrago sarà qui. Come mai un ragazzo si trova perduto in mezzo all’Atlantico e solo?”
“Lo sapremo più tardi. Udite lo sbattere dei remi?”
“Mi pare di udire un lontano rumore. Ci vedrà quel mozzo ?”
“Accendete una torcia: gli servirà da faro.”
La sottile striscia nera avanzava sempre verso il pallone e si distingueva ormai senza bisogno di cannocchiale e si udiva anche nettamente lo sbattere dei remi. In capo a mezz'ora era lontana poche centinaia di metri, su di essa si scorgeva una forma umana di piccole dimensioni, la quale manovrava i remi con grande energia.
“Coraggio, giovanotto!” gridò Mister Kelly.
“Grazie signore,” rispose il naufrago.
In pochi minuti superò la distanza, abbandonò il canotto, si fermò alcuni istanti sul primo nodo della guide-rope per riposarsi, poi si arrampicò con l’agilità di un gatto e raggiunse la navicella.
O’Donnell lo afferrò per le braccia e lo depose nella scialuppa.
“Grazie,” ripeté il naufrago.
Poi, dopo aver girato lo sguardo ardente sulle casse e sui barili che ingombravano la scialuppa, mormorò: “Da bere!... Da bere, signori!... Muoio di sete!”

 

 Chapitre 19

Le naufragé

Le Washington semblait avoir rencontré un bon courant d'air. En effet, sa vitesse, qui quelques heures auparavant était de dix ou douze kilomètres, augmentait de minute en minute, l'éloignant de cette zone dangereuse des calmes du Tropique et l'entraînant non plus vers les régions ardentes de l'équateur, mais vers des climats plus frais, sa direction ayant changé.
Il naviguait maintenant à une vitesse de 42 kilomètres par heure, tendant à se rapprocher des côtes nord de l'Afrique et plus précisément de celles de l'Empire marocain ou du grand désert du Sahara. Il est vrai que la distance à dépasser était immense puisque, selon le dernier calcul de l'ingénieur, ils avaient à peine atteint le 21e méridien, mais avec l'aérostat plusieurs centaines de miles pouvaient être dépassés en seulement douze heures, même par vent modéré.
"Si nous continuons ainsi," dit l'ingénieur à l'Irlandais, qui avait fini de manger et fumait maintenant une excellente cigarette, confortablement allongé sur la proue, "je promets de vous montrer la terre très bientôt".
"La côte africaine ?"
"Je ne prétends rien de tel, O'Donnell, mais si le vent se maintient, nous apercevrons demain soir ou après-demain, les premières îles Canaries."
"Sommes-nous conduits vers ces îles ?"
"Oui."
"Une bonne occasion d'aller vider une bouteille d'excellent madère."
"Beone !"
"A quelle distance sommes-nous du continent africain ?"
"Environ 1400 miles en ligne droite, mais nous suivons maintenant une ligne oblique qui va doubler la distance."
"Une somme dérisoire pour notre ballon". Par Jupiter et Saturne, c'est une grande et merveilleuse invention que ce ballon, M. Kelly."
"Je le crois, O'Donnell."
"Est-ce aux frères Montgolfier que revient le mérite de la découverte ?"
"Ils ont le mérite d'avoir fait planer le premier ballon, mais avant eux, d'autres hommes dignes de ce nom avaient essayé de s'élever dans les hautes régions de l'air, et avaient peut-être échoué à cause du peu de développement que la physique et la mécanique avaient atteint à leur époque. Comme toujours, les Italiens, qui sont à la tête de toutes les découvertes, ont été parmi les premiers, et c'est l'un de leurs grands hommes, Léonard de Vinci, qui a exprimé la possibilité de planer dans les airs. Francesco Lana, également italien, en 1670, dans un mémoire publié dans la ville de Brera, proposa de faire le vide à l'intérieur de deux plaques de cuivre très solides, en assurant qu'elles s'élèveraient. Puis viennent les Anglais, Cavendish en 1766 démontrant que l'air inflammable est plus léger que l'atmosphère ; Black en 1767 affirmant qu'un ballon s'élève. L'honneur de lancer la première revient à un Italien, Cavalli, en 1782, mais sa découverte est étouffée par l'enthousiasme suscité par les frères Giacomo et Giuseppe Montgolfier qui, le 5 juin 1783, soit un an plus tard, lancent la première montgolfière".
"Mais alors le mérite de l'ascension du premier ballon revient à Cavalli et non aux frères Montgolfier ?"
Oui, O'Donnell, mais les Italiens ont toujours eu le malheur de ne pas revendiquer le mérite de leurs inventions et de se les faire voler par des étrangers. Les Français, en revanche, ont le mérite d'avoir donné un grand coup de pouce à cette merveilleuse découverte, et les premiers d'entre eux sont Blanchard et Pilâtre. Ce Blanchard, un Normand astucieux et audacieux, prétendait même avoir trouvé le moyen de diriger les ballons."
"Mais si ce chemin n'a pas été trouvé même aujourd'hui !" s'exclame O'Donnell.
" Pourtant, Blanchard affirmait l'avoir trouvé, et pour le prouver, il entreprit la traversée de la Manche. Doué d'une certaine imagination, il équipa son ballon d'une sorte de bouclier contre la pluie, son navire d'un gouvernail et de rames actionnés par une manivelle de son invention, et fit ses premières ascensions, qui le persuadèrent naturellement de la futilité de ses objets. Néanmoins, il s'assure de brillants succès, et le 7 janvier 1785, il gravit le rocher de Shakespeare, sur les rives anglaises de la Manche, en compagnie du Dr Jeffrey, emportant avec lui un sac de dépêches. Cette fois, cependant, il avait substitué une sorte de ventilateur à son écran de pluie, promettant de faire des merveilles. Le vent leur fait franchir la Manche, mais à cause d'une erreur d'équilibre, les aéronautes sont immédiatement obligés de jeter dix sacs de lest, puis ils jettent leurs provisions, la tapisserie en soie du navire, leurs manteaux et enfin aussi ce fameux éventail, les rames et le gouvernail qu'ils savent ne servir à rien, et descendent vers Calais, ayant simplement suivi le vent. Blanchard proclame effrontément qu'il a découvert le moyen de diriger les aérostats et le public a le tort de le croire. La population de Calais lui conféra la citoyenneté, le conseil municipal acheta à prix d'or le ballon, qui est toujours conservé au musée de cette ville, une colonne fut érigée en souvenir de cette traversée, et le roi de France accorda à l'habile aéronaute une pension annuelle de mille escudos. Cette simple traversée a suffi à rendre Blanchard célèbre et plus tard millionnaire."
"Que serions-nous devenus si nous avions annoncé et exécuté, à cette époque, la traversée de l'Atlantique ?".
"Des hommes immortels, O'Donnell", dit l'ingénieur en riant.
"Et au lieu de ça, on se prend un boulet de canon !"
" L'Italien Zambeccari, l'infortuné aéronaute qui a brûlé à mort, homme intelligent et audacieux, tient une des premières places parmi les premiers navigateurs de l'air, pour ses innombrables ascensions et découvertes. Il donna aux ballons et aux montgolfières des proportions exactes, réglant la force ascensionnelle des uns et des autres, et modifia considérablement le système adopté par Pilâtre, remplaçant la paille, qu'il brûlait dans la cheminée pour dilater le gaz, par une lampe à huile minérale, et supprimant le tube conducteur, ayant constaté son inutilité absolue. Puis vint Robert, et ensuite d'autres Italiens, les Lunardi, les Andreoli et beaucoup d'autres, qui apportèrent des améliorations aux aérostats et essayèrent, mais sans résultats satisfaisants jusqu'à présent, de les diriger."
"Une question. M. Kelly."
"Parlez plus fort."
"Si vous construisiez un immense ballon, d'une force ascensionnelle énorme, pourrait-il atteindre la lune ?"
"Avez-vous l'intention d'aller vous installer sur la lune, O'Donnell ?", demande l'ingénieur en éclatant de rire. "Votre projet serait irréalisable, mon ami, car il semble qu'à une certaine hauteur, l'hydrogène se transforme en air chaud."
"Pour quelle raison ?"
"Les physiciens n'ont pas encore réussi à expliquer cet étrange phénomène. Ce que je sais, c'est qu'un ballon doté d'une certaine force ascensionnelle a été lancé, dépourvu de vaisseau spatial et d'aéronautes mais équipé d'instruments permettant de spécifier et de maintenir les hauteurs qu'il devait toucher. Ce ballon a atteint 20 000 mètres, puis a fait une chute vertigineuse, et lorsqu'il a été récupéré, on a constaté qu'il contenait de l'air chaud."
"Alors j'abandonne mon projet, M. Kelly," dit O'Donnell.
"Je vous crois, d'autant plus qu'à 20 000 mètres, vous mourriez de froid et d'asphyxie, sans voir la lune grossie d'un millimètre."
Pendant qu'ils parlaient ainsi, la nuit était tombée et l'aérostat avait repris sa descente avec une certaine rapidité, se retrouvant au milieu d'un courant d'air plutôt froid, bien qu'il n'ait pas quitté les environs ardents du tropique. À neuf heures, il avait déjà touché mille mètres et ne donnait aucun signe d'arrêt ; à dix heures, seuls six cents mètres le séparaient de l'océan. O'Donnell, qui était très fatigué, s'est allongé à l'arrière, tandis que le mécanicien était assis à l'avant, fumant une cigarette, en attendant que son quart de veille passe. Le vent était toujours frais, portant le Washington à une vitesse de seize miles par heure, mais il avait subi un changement notable de direction puisqu'il soufflait maintenant vers le nord.
M. Kelly n'était cependant pas mal à l'aise, mais se réjouissait plutôt du fait qu'il ne s'approchait pas de la côte africaine. Il espérait atteindre les parallèles européens et trouver plus tard un courant qui le pousserait vers l'Espagne ou le Portugal.
Vers onze heures, voulant regarder ses instruments pour connaître l'altitude et la vitesse du vent, il alluma une bougie. Il venait de se lever pour s'approcher du côté bâbord, auquel ses instruments étaient suspendus, lorsqu'il crut entendre un cri résonnant. Surpris au plus haut point, il leva les yeux, croyant que quelque grand oiseau de mer l'avait prononcé, mais il ne vit rien traverser le ciel étoilé : il regarda en bas, mais rien de distingué sur la surface noire de l'océan.
"C'est étrange", s'est-il exclamé. "Qu'un navire passe sous nos pieds ? Un navire ! Mais on verrait les feux de position, alors que sur l'océan, je ne vois aucun point lumineux."
Il a écouté pendant quelques minutes, en tendant l'oreille, et cette fois, il a entendu distinctement une voix humaine s'élevant de l'océan.
"O'Donnell !" a-t-il crié.
L'Irlandais, qui avait le sommeil léger, s'est réveillé brusquement.
"Touchez-vous le quatrième ?" a-t-il demandé.
"Pas encore, mais je voulais vous demander si vous aviez entendu un cri."
"Non, Monsieur Kelly : je dormais comme un loir."
"Entendre..."
Un cri, comme un appel désespéré, était parvenu à leurs oreilles. Il semblait venir du nord, dans la direction dans laquelle le ballon était poussé.
O'Donnell, bien qu'il ne soit pas superstitieux, a murmuré :
"Serait-ce la voix du nègre ? On dit que les morts sur l'océan réapparaissent."
"Histoires de marins", dit l'ingénieur.
"Mais qui pensez-vous que ce soit ? Un gros poisson peut-être ?"
"Non : c'était un cri humain."
"Chut..."
"Encore ?"
On entendait distinctement une voix argentée dans l'obscurité, une voix presque enfantine, qui criait "Au secours ! ....". Au secours !"
Kelly et l'Irlandais se penchent sur le bord du canot de sauvetage et scrutent avidement l'étendue noire de l'Atlantique, espérant apercevoir quelque chose, mais l'obscurité est trop intense.
"C'est un Anglais !" s'est exclamé O'Donnell.
"Ou un Américain", dit l'ingénieur.
"Et ça m'a paru être la voix d'un enfant."
"C'est peut-être un naufragé."
"Et allons-nous le laisser périr, M. Kelly ?"
"Ah non !" Il a fait une sorte d'embouchure avec ses mains et a crié d'une voix tonitruante : "Qui êtes-vous ?".
"Un naufragé", a répondu la voix d'avant.
"Vous êtes seul ?"
"Seul."
"Pouvez-vous rester à flot jusqu'à l'aube ?"
"Je monte un canot pneumatique."
"Es-tu un garçon ?"
"Un garçon de cabine."
"Nous allons vous sauver."
"Merci, mon bon monsieur !"
"Ne perdons pas de temps, O'Donnell," dit l'ingénieur. "Le vent nous porte avec une difficulté considérable et nous ne devons pas descendre hors de vue."
"On sacrifie un peu plus d'essence ?"
"C'est nécessaire, O'Donnell. Heureusement, l'hydrogène est condensé, et nous n'en perdrons pas beaucoup pour nous descendre de cinq ou six cents mètres."
Il saisit les deux cordes qui pendent des deux broches et d'un coup sec, il ouvre les deux valves de ventilation. Immédiatement au-dessus, ils ont entendu de doux craquements et une forte odeur d'hydrogène s'est répandue dans le vaisseau.
"Soufflez la bougie", dit l'ingénieur.
O'Donnell obéit, puis abaisse les deux ancres en forme de cône pour ralentir la descente et freiner le ballon. Le Washington s'est abaissé avec un large mouvement de balancier, décrivant de temps en temps des cercles concentriques.
"Assez", dit l'ingénieur, en lâchant les deux cordes.
Les deux valves se sont fermées, mais l'aérostat a continué à s'abaisser à une vitesse remarquable. Les deux cônes et la corde de guidage se sont additionnés et ont rapidement ralenti sa descente, le maintenant à soixante mètres au-dessus de la surface de l'océan.
"Vous voyez quelque chose ?" a demandé O'Donnell à l'ingénieur qui avait pointé une lunette de nuit.
"Oui, je crois que je vois une petite traînée noire qui plane au-dessus de l'océan."
"C'est loin ?"
"Trois ou quatre kilomètres."
"Alors d'ici peu, le naufragé sera là. Comment se fait-il qu'un garçon se retrouve perdu au milieu de l'Atlantique et seul ?"
"Nous le saurons plus tard. Entendez-vous le battement des rames ?"
"Je crois que j'entends un bruit lointain. Le matelot va-t-il nous voir ?"
"Allumez une torche : elle vous servira de phare."
La fine traînée noire avançait toujours vers le ballon et pouvait maintenant être distinguée sans avoir besoin d'un télescope, et le battement des rames pouvait aussi être clairement entendu. Au bout d'une demi-heure, il n'est plus qu'à quelques centaines de mètres et on peut y voir une petite forme humaine qui manœuvre les rames avec une grande énergie.
"Courage, jeune homme !" a crié Mister Kelly.
"Merci, monsieur", répondit le naufragé.
En quelques minutes, il surmonte la distance, abandonne le canot, s'arrête quelques instants sur le premier nœud de la corde de guidage pour se reposer, puis grimpe avec l'agilité d'un chat et atteint le navire.
O'Donnell l'a attrapé par les bras et l'a allongé dans le canot de sauvetage.
"Merci", a répété le naufragé.
Puis, après avoir tourné son regard brûlant sur les caisses et les tonneaux qui encombraient le canot de sauvetage, il a murmuré : " Des boissons ! Buvez, messieurs ... Je meurs de soif !"



 

contact mentions légales déclaration de protection de données