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Capitolo 24

La costa africana

O’Donnell che da qualche minuto teneva gli occhi fissi sui grandi fusi, non s’ingannava. La corrente degli alisei aveva bruscamente cambiato direzione, piegando verso sud. La vicinanza delle catene dei monti che sorgono nell'interno della Senegambia, correndo parallelamente alla costa, obbligava quella corrente, giunta a quel punto, a deviare lungo le spiagge; oppure un’altra, proveniente dal settentrione, più rapida e più potente, l’aveva rotta? Comunque fosse, il fatto sta che il Washington ancora una volta veniva respinto da quelle coste e proprio nel momento che stava per toccarle.
“Innalziamoci!” disse l’ingegnere, con voce agitata. “Forse in alto possiamo ritrovare la corrente che ci trascinava all’est.”
“Gettiamo la zavorra?”
“Tutta, O’Donnell. Se ci lasciamo sfuggire quest’occasione siamo perduti.”
“Vada la zavorra dunque! Poi accadrà quello che Dio vorrà.”
Era forse una grande imprudenza privarsi di quel peso che più tardi poteva sollevarli, ma bisognava tentare di tutto per non perdere quelle coste che fuggivano come la Fata Morgana dei deserti africani. O’Donnell ed il mozzo afferrarono i sacelli e li precipitarono nell’oceano. Il Washington scaricato di quei centonovanta chilogrammi, s’alzò con rapidità fulminea. Gli aeronauti si sentirono come soffocare in quella vertiginosa ascensione, mentre attorno a loro la temperatura si abbassava bruscamente, diventando fredda, come se un crudo inverno fosse piombato su quelle regioni del sole. L’aerostato varcò i 3000 metri senza arrestarsi, poi i 4000, poi i 5000 e s’arrestò cento metri più sopra. Gli aeronauti trasportati quasi di colpo in quelle alte regioni, dove regna il cosiddetto “male della montagna”, caddero nel fondo della scialuppa, colpiti da uno stordimento generale e da un principio di asfissia. Si sentivano presi da nausee e da vertigini, la loro faccia era congestionata, il ventre gonfio mentre i polsi battevano febbrilmente e come volessero spezzarsi, mentre un freddo intenso li irrigidiva.
“Mister Kelly, dove siamo?” chiese O’Donnell con voce fioca. “Siamo stati trasportati fra i ghiacci della baia di Hudson?”
“Siamo a 5100 metri, in una regione dove l’ossigeno diminuisce la sua tensione, non penetrando più nel nostro sangue in quantità sufficiente.”
“Mi sento tutto scombussolato e provo delle nausee.”
“E anch’io,” disse il mozzo. “Si direbbe che mi assalga il mal di mare.”
“I nostri disturbi cesseranno presto poiché il Washington fra poco scenderà in regioni più respirabili.”
“Andiamo verso l’est, almeno. Mister Kelly?” chiese l’irlandese, facendo uno sforzo por sollevarsi.
“No!” rispose l'ingegnere coi denti stretti. “Siamo immobili.”
“Non c’è corrente ?”
“Nessuna.”
“Ne troveremo più sotto?”
“Lo sapremo più tardi.”
“Oh! che spettacolo! L'Africa è a due passi!…E quel fiume?”
“È il Gambia.”
“Si direbbe un gran nastro d’argento disteso su un tappeto verde.”
“Sì, un nastro di 1500 chilometri di lunghezza e largo 24 alla foce.”
“Che panorama, Mister Kelly! Vale la pena di sfidare le nausee per godere simile spettacolo.”
“Purché questo spettacolo non si muti per noi in un altro terribile.”
“Perché?”
“Scendiamo.”
“Ancora!... Decisamente il nostro pallone è diventato tisico.”
“Scherzate di fronte a una simile prospettiva?”
“Cerco di essere un po’ allegro all’ultimo istante, considerato che l’essere di cattivo umore non porterebbe alcun cambiamento.”
“Vi ammiro, O’Donnell.”
“Grazie, Mister Kelly.”
“Di che cosa?”
“Di avermi prolungato la vita fino ad oggi.”
“Ma forse fra poco io vi trascinerò con me laggiù.”
“Bah! Abbiamo la scialuppa.”
“È vero, e ora che ci penso, conto di servirmene.”
“Per toccare la costa?”
“L’avete detto.”
''Ecco una splendida idea che c’è sempre sfuggita. Quanto distiamo dal Gambia?”
“Forse quaranta miglia.”
“Una semplice passeggiata.”
“Sì, caro amico, se non troviamo più sotto una corrente che ci spinge verso terra, apriremo le valvole e caleremo sull’oceano.”
“Aspettiamo, dunque!”
Il Washington calava lentamente: il gas sfuggiva attraverso il tessuto e dalle lacerazioni; già le estremità dei due grandi fusi ricadevano, formando grandi pieghe. La costa africana non era lontana più di quaranta miglia e si distingueva ormai nettamente. Il Gambia, questa grande arteria che attraversa la parte inferiore (la superiore è la costa del Senegal) della regione conosciuta sotto il nome di Senegambia, appariva distintamente per un tratto immenso. Si vedevano i suoi affluenti di destra e di sinistra scorrere attraverso le folte boscaglie. Con l’aiuto del cannocchiale, si scorgevano perfino le lontane cascate del Barraconda, che si trovavano a 400 chilometri dalle foci e le isole degli Elefanti, degli Ippopotami, degli Uccelli, di Saffo.
Alle cinque, un clamore assordante e parecchi spari giunsero agli orecchi degli aeronauti. Si curvarono sui bordi della scialuppa e s’accorsero di essere sopra Bathurst, la principale borgata dell’isola di Santa Maria. Si scorgevano la chiesa, la scuola, le abitazioni dei negri e le fattorie inglesi e francesi. Numerosi punti neri popolavano le vie e si agitavano correndo ora da un lato ora dall’altro e dei lampi balenavano di qua e di là.
“È la popolazione che ci invita a scendere,” disse l’ingegnere.
“Scendiamo, Mister Kelly.”
“Vedo davanti al villaggio grossi punti neri, e quelli là sono navi.”
“E che importa?”
“Mi preme salvarvi. O’Donnell. Forse fra quelle navi si trova qualche stazionario inglese o qualche incrociatore e non vi lascerebbe scappare.”
“Volete che sappiano chi siamo?”
“Il nostro viaggio deve aver fatto molto rumore anche in Europa; la vostra fuga sarà stata notificata a tutti i consoli delle città delle coste europee e africane, e le navi da guerra saranno state a loro volta informate.”
“Lo credete?”
“So quanto sono cocciuti gli inglesi, amico mio. Sono certo che sono stati dati ordini severi per riprendervi nel caso che il pallone scendesse su uno dei loro territori o in vista d’una delle loro navi. L’Inghilterra, dovreste saperlo, non perdona ai feniani.”
“È vero, Mister Kelly, ma io non vorrei che, per salvare me, naufragaste in mezzo all’oceano.”
“Saprò regolarmi e cercherò di scendere lontano da quelle coste, ma non tanto da non poterle riafferrare.”
In quell’istante, l’aerostato si piegò verso sud-est e si mise a filare in quella direzione lentamente, allontanandosi dall’isola.
“Il vento!” esclamò O’Donnell.
“E spira in favore” disse l’ingegnere.
“Dio sia...” L’irlandese non finì. Una formidabile detonazione era echeggiata sull’oceano, soffocandogli la frase.
“Che cosa succede?” chiese impallidendo.
“Una nave a vapore!” gridò Walter.
Una nave si era staccata dall’isola e seguiva l’aerostato a tutto vapore.
“Che vengano in nostro aiuto?” chiese O’Donnell.
“In nostro aiuto?” esclamò l’ingegnere. “No, O’Donnell, quella nave ci dà la caccia per prenderci. Io non mi ero ingannato!”
“E una nave da guerra inglese?”
“Sì, vedo sul ponte le giacche rosse della fanteria marina.”
“Dunque voi credete?...”
“Che quella nave sappia già chi siamo noi e soprattutto chi siete voi.”
“È impossibile, signore!”
“E perché?”
“Non vi è un solo pallone nel mondo e chissà quanti altri hanno fatto delle ascensioni dopo la nostra partenza.”
“Ma il mio Washington ha una forma speciale e noi soli abbiamo tentato questa grande traversata.”
Un’altra detonazione echeggiò sull’oceano. L’ingegnere tese le orecchie ma non udì fischio di proiettile.
“È un colpo a salve,” disse. “Sapete che cosa significa per le genti di mare?”
“Un’intimidazione di fermarsi?”
“Sì, e per noi di scendere, sotto pena di venire cannoneggiati.”
“Era destino che io dovessi ricadere nelle loro mani,” disse O’Donnell con rassegnazione. “Mi prendano dunque.”
“Non vi hanno ancora in mano, O’Donnell.”
“Che cosa volete fare, Mister Kelly?”
“Salvarvi.”
“Ma non vedete che il pallone scende e che il vento ci porta con una velocità di appena dieci miglia l’ora? Fra pochi minuti quella nave sarà qui.”
“Sfido l’equipaggio a salire fino a noi.”
“Ma presto lo vedremo.”
“Non così presto.”
“Non abbiamo più zavorra da gettare.”
“Abbiamo i barili, i cilindri, le casse, le armi, le munizioni e in ultimo il battello. Ah! signori inglesi, non ci prenderete così facilmente.”
“Ma se ci prendono, vi arresteranno come mio complice.”
“Bah! Sono americano io, non sono loro suddito e non oseranno toccarmi.”
“Grazie, Mister Kelly,” esclamò O’Donnell con voce commossa. “Vi devo la vita.”
“Lanciate andare i ringraziamenti, mio buon amico, e prepariamoci a vuotare la scialuppa. È necessario, per salvarvi, toccare le coste africane e scendere assai lontano dalle rive.”
“Il vento ci spinge verso la costa?”
“Non direttamente, ma fra poche ore io spero di scendere fra i boschi dell’interno.”
Intanto la nave, che bruciava tonnellate di carbone per accrescere la sua velocità, si avvicinava molto rapidamente. Era un incrociatore della portata di mille o milleduecento tonnellate, attrezzato a goletta, assai lungo e stretto. A poppa, sul picco della randa, sventolava la bandiera inglese e sull’albero di maestra il grande nastro delle navi da guerra. Non era possibile ingannarsi sulle sue intenzioni, dopo quei due colpi a salve. Senza dubbio la partenza del Washington era stata segnalata a tutte le navi da guerra inglesi nei porti occidentali dell’Europa e dell’Africa. Ormai sapevano che il feniano O’Donnell era fuggito con l’ardito aeronauta e tutte dovevano aver ricevuto l’ordine di arrestarlo, prima che scendesse in qualche Stato.
Vedendo quel grande aerostato venire dall’ovest, il comandante della nave doveva aver sospettato d'avere a che fare col Washington il solo che doveva venire dalla parte dell’oceano, e si era prontamente messo in caccia, deciso forse di rovinarlo a colpi di cannone, prima che andasse a cadere in mezzo alle grandi foreste della Senegambia, su territorio francese e dove non avrebbe potuto lanciare i suoi uomini senza suscitare delle gravi complicazioni diplomatiche.
Il Washington cadeva. Non era più che a milleduecento metri dalla superficie dell’oceano e non s’arrestava.
Ormai gli aeronauti distinguevano nettamente l’equipaggio inglese schierato sulla tolda dell'incrociatore, gli ufficiali ritti sulla passerella di comando e il cannone di prua che aveva fatto fuoco.
“Affrettiamoci,” disse l’ingegnere. “Quegli uomini non scherzano e ci prenderanno a cannonate se s’accorgono che noi, invece di scendere, cerchiamo di innalzarci.”
In quell’istante una voce tuonante s’alzò sul ponte dell’incrociatore.
“Scendete!”
L’ingegnere non si degnò di rispondere e spiegò la sua bandiera dell’Unione.
“Scendete o facciamo fuoco!” ripete la voce.
“Ve lo dicevo, O’Donnell che quei volponi si sono accorti chi siamo e donde veniamo?” disse l’ingegnere.
Si curvò sulla poppa della scialuppa, imboccò un megafono e gridò: “Che desiderate?”
“Che scendiate,” rispose una voce tuonante.
“Con quale diritto?”
“Di nave da guerra.”
“Sono suddito dell’Unione Americana io, e non ho conti da rendere alle navi di S. M. Britannica.”
“Voi portate un suddito inglese: il condannato Harry O’Donnell.''
“Non lo conosco.”
“Scendete o facciamo fuoco.''
“Andate all’inferno!” urlò l’ingegnere furioso.
Poi, volgendosi verso O’Donnell, che conservava un sangue freddo ammirabile, e al mozzo disse rapidamente: “Gettate!”
L’irlandese e Walter a quel comando rovesciarono nell’oceano i cilindri, le casse, i barili, le vesti di ricambio, i materassi, le coperte, tutto quanto ingombrava la scialuppa. Sul ponte della nave s’alzò un clamore furioso, poi scoppiarono quindici o venti colpi di fucile, ma l’aerostato era già fuori di portata. Scaricati da quel peso, aveva fatto un salto immenso, toccando i 3700 metri.
“Buon viaggio!” gridò l’ingegnere ironicamente. “Spero di farvi correre!...”

 

 Chapitre 24

La côte africaine

O'Donnell, qui avait gardé les yeux fixés sur les grands fuseaux pendant quelques minutes, n'était pas dupe. Le courant de l'alizé avait brusquement changé de direction, s'orientant vers le sud. La proximité des chaînes de montagnes qui s'élèvent à l'intérieur de la Sénégambie, parallèles à la côte, a obligé ce courant, arrivé à ce point, à dévier le long des plages ; ou bien un autre, venant du nord, plus rapide et plus puissant, l'avait-il brisé ? Quoi qu'il en soit, le fait est que le Washington a été une fois de plus repoussé de ces rivages, et au moment même où il était sur le point de les toucher.
"Levons-nous !" dit l'ingénieur, d'une voix agitée. "Peut-être qu'en altitude on pourra trouver le courant qui nous a entraînés vers l'est."
"Devons-nous jeter le lest ?"
"Tout ça, O'Donnell. Si nous laissons cette opportunité nous glisser entre les doigts, nous sommes perdus."
"Allez le lest alors ! Alors ce que Dieu veut arrivera."
C'était peut-être une grande imprudence de se priver du poids qui pourrait plus tard les soulever, mais il fallait tout tenter pour ne pas perdre ces côtes qui fuyaient comme la Fata Morgana des déserts africains. O'Donnell et le matelot ont saisi les sacs et les ont jetés dans l'océan. Le Washington déchargé de ces cent quatre-vingt-dix kilogrammes s'est élevé à la vitesse de l'éclair. Les aviateurs avaient l'impression de suffoquer dans cette ascension vertigineuse, tandis qu'autour d'eux la température baissait brutalement, devenant froide, comme si un hiver rigoureux s'était abattu sur ces régions du soleil.
Le ballon a franchi 3000 mètres sans s'arrêter, puis 4000, puis 5000 et s'est arrêté à une centaine de mètres au-dessus. Les aéronautes transportés presque subitement dans ces régions élevées, où règne ce qu'on appelle le "mal des montagnes", tombaient au fond du canot de sauvetage, frappés d'un étourdissement général et d'un début d'asphyxie. Ils se sentaient saisis de nausées et de vertiges, leur visage était congestionné, leur ventre gonflé tandis que leurs poignets battaient fébrilement et comme s'ils voulaient se briser, tandis qu'un froid intense les raidissait.
"Mr Kelly, où sommes-nous ?" a demandé O'Donnell d'une voix faible. "Avons-nous été transportés à travers la glace de la baie d'Hudson ?"
"Nous sommes à 5100 mètres, dans une région où l'oxygène diminue en tension, ne pénétrant plus dans notre sang en quantité suffisante."
"Je me sens toute déconfite et nauséeuse."
"Moi aussi", dit le matelot. "On pourrait dire que j'ai le mal de mer."
"Nos maux cesseront bientôt car les Washington descendront bientôt dans des régions plus respirables."
"Nous allons vers l'est, au moins. Mister Kelly ?" demande l'Irlandais en faisant un effort pour se lever.
"Non !" répond l'ingénieur en serrant les dents. "Nous sommes immobiles."
"Pas de courant ?"
"Aucun."
"Est-ce qu'on en trouvera d'autres en dessous ?"
"Nous le saurons plus tard."
"Oh ! quel spectacle ! L'Afrique n'est qu'à un jet de pierre ! ...Et cette rivière ?"
"C'est la Gambie."
"On dirait un grand ruban d'argent tendu sur un tapis vert."
"Oui, un ruban de 1500 km de long et 24 de large à l'embouchure."
"Quelle vue, M. Kelly ! Cela vaut la peine de braver la nausée pour profiter d'un tel spectacle."
"A condition que ce spectacle ne se transforme pas pour nous en un autre terrible."
"Pourquoi ?"
"Descendons."
"Encore une fois ... Définitivement, notre balle est devenue tisicale."
"Vous plaisantez face à une telle perspective ?"
"J'essaie d'être un peu joyeux au dernier moment, considérant qu'être de mauvaise humeur n'apporterait aucun changement."
"Je vous admire, O'Donnell."
"Merci, M. Kelly."
"Pour quoi ?"
"Pour avoir prolongé ma vie jusqu'à ce jour."
"Mais peut-être que dans un petit moment, je t'entraînerai là-bas avec moi."
"Bah ! Nous avons le canot de sauvetage."
"C'est vrai, et maintenant que j'y pense, je compte m'en servir."
"Pour toucher la côte ?"
"Tu l'as dit."
"Voici une idée merveilleuse qui nous a toujours échappé. A quelle distance sommes-nous de la Gambie ?"
"Peut-être 40 miles."
"Une simple promenade."
"Oui, cher ami, si nous ne trouvons plus sous un courant nous poussant vers le rivage, nous ouvrirons les valves et descendrons au-dessus de l'océan."
"On attend, alors !"
Le Washington descendait lentement : du gaz s'échappait par le tissu et par les déchirures ; déjà les extrémités des deux grands fuseaux retombaient, formant de grands plis. La côte africaine n'était pas à plus de quarante miles et pouvait maintenant être clairement distinguée. La Gambie, cette grande artère qui traverse la partie inférieure (la partie supérieure est la côte du Sénégal) de la région connue sous le nom de Sénégambie, est apparue distinctement sur une immense étendue. On pouvait voir ses affluents de gauche et de droite couler à travers les fourrés denses. À l'aide du télescope, on pouvait même distinguer les chutes de Barraconda, situées à 400 kilomètres de l'embouchure, ainsi que les îles des éléphants, des hippopotames, des oiseaux et de Sappho.
A cinq heures, une clameur assourdissante et plusieurs coups de feu parviennent aux oreilles des aviateurs. Ils se sont penchés sur le bord du canot de sauvetage et ont réalisé qu'ils se trouvaient au-dessus de Bathurst, la principale ville de l'île Sainte-Marie. Ils pouvaient voir l'église, l'école, les habitations nègres et les fermes anglaises et françaises. De nombreux points noirs peuplaient les rues, et clignotaient ici et là.
"C'est la population qui nous invite à descendre", a déclaré l'ingénieur.
"Laissez-nous descendre, M. Kelly."
"Je vois devant le village de gros points noirs, et ce sont des bateaux."
"Et qui s'en soucie ?"
"Je tiens à te sauver. O'Donnell. Peut-être que parmi ces navires se trouvent quelques stationnaires anglais ou quelques croiseurs, et qu'ils ne vous laisseraient pas vous échapper."
"Tu veux qu'ils sachent qui nous sommes ?"
"Notre voyage doit aussi avoir fait beaucoup de bruit en Europe ; votre évasion aura été notifiée à tous les consuls des villes des côtes européennes et africaines, et les navires de guerre auront été informés à leur tour."
"Tu crois ?"
"Je sais combien les Anglais sont têtus, mon ami. Je suis sûr qu'ils ont reçu l'ordre strict de vous ramener si le ballon se pose sur un de leurs territoires ou en vue d'un de leurs vaisseaux. L'Angleterre, vous devez le savoir, ne pardonne pas aux Fenians."
"C'est vrai, Monsieur Kelly, mais je ne voudrais pas que, pour me sauver, vous fassiez naufrage au milieu de l'océan."
"Je saurai me réguler, et j'essaierai de descendre loin de ces rivages, mais pas si loin que je ne puisse les regagner."
À cet instant, le ballon s'est incliné vers le sud-est et a tourné dans cette direction en s'éloignant lentement de l'île.
"Le vent !" s'exclame O'Donnell.
"Et expirez en faveur", dit l'ingénieur.
"Dieu, c'est..." L'Irlandais n'a pas terminé. Une formidable détonation avait résonné sur l'océan, étouffant sa phrase.
"Qu'est-ce qui se passe ?" a-t-il demandé en pâlissant.
"Un bateau à vapeur !" a crié Walter.
Un navire s'était détaché de l'île et suivait l'aérostat à pleine vapeur.
"Venir à notre aide ?" a demandé O'Donnell.
"Pour nous aider ?" s'exclame l'ingénieur. "Non, O'Donnell, ce vaisseau chasse pour nous attraper. Je n'ai pas été dupé !"
"Et un navire de guerre britannique ?"
"Oui, je vois sur le pont les vestes rouges de l'infanterie de marine."
"Alors vous croyez ?"
"Que ce vaisseau sait déjà qui nous sommes et surtout qui vous êtes."
"C'est impossible, monsieur !"
"Et pourquoi ?"
"Il n'y a pas un seul ballon dans le monde, et qui sait combien d'autres ont fait des ascensions depuis notre départ".
"Mais mon Washington a une forme particulière et nous sommes les seuls à avoir tenté cette grande traversée."
Une autre détonation a résonné dans l'océan. L'ingénieur a tendu l'oreille mais n'a pas entendu de sifflement de balle.
"C'est un tir à blanc", a-t-il dit. "Savez-vous ce que cela signifie pour les gens de la mer ?"
"Une intimidation pour arrêter ?"
"Oui, et que nous descendions, sous peine d'être canonnés."
"C'est le destin qui a voulu que je tombe entre leurs mains", dit O'Donnell avec résignation. "Ils me prennent donc."
"Ils ne t'ont pas encore eu, O'Donnell."
"Que voulez-vous faire, M. Kelly ?"
"Te sauver."
"Mais ne vois-tu pas que le ballon descend et que le vent nous porte à une vitesse de seulement dix miles à l'heure ? Dans quelques minutes, le vaisseau sera là."
"Je défie l'équipage de venir nous voir."
"Mais bientôt nous le verrons."
"Pas si vite."
"Nous n'avons plus de lest à jeter."
" Nous avons les barils, les cylindres, les caisses, les fusils, les munitions, et enfin le bateau. Ah ! Messieurs les Anglais, vous ne nous attraperez pas si facilement."
"Mais si nous sommes pris, vous serez arrêté comme mon complice."
"Bah ! Je suis un Américain, je ne suis pas leur sujet, et ils n'oseront pas me toucher."
"Merci, Monsieur Kelly", s'exclame O'Donnell d'une voix émue. "Je vous dois la vie."
"Laissez partir les remerciements, mon bon ami, et préparons-nous à vider le canot de sauvetage. Il est nécessaire, pour vous sauver, de toucher les rivages de l'Afrique et de descendre très loin des rivages. "
"Le vent nous pousse-t-il vers la côte ?"
"Pas directement, mais dans quelques heures, j'espère descendre dans les bois de l'intérieur."
Pendant ce temps, le navire, brûlant des tonnes de charbon pour augmenter sa vitesse, s'approchait très rapidement. C'était un croiseur de mille ou mille deux cents tonnes, gréé comme une goélette, très long et étroit. À l'arrière, sur la crête de la grand-voile, flottait le drapeau anglais et sur le grand mât, le grand ruban des navires de guerre. Il n'y avait aucun doute sur ses intentions après ces deux blancs. Nul doute que le départ du Washington avait été signalé à tous les navires de guerre britanniques dans les ports occidentaux d'Europe et d'Afrique. Ils savaient maintenant que le Fenian O'Donnell s'était échappé avec l'audacieux aéronaute, et tous devaient avoir reçu l'ordre de l'arrêter avant qu'il ne descende dans n'importe quel état.
En voyant ce grand aérostat venant de l'ouest, le commandant du navire avait dû se douter qu'il avait affaire au Washington, le seul venant du côté de l'océan, et il s'était promptement mis à sa poursuite, décidant peut-être de le détruire à coups de canon avant qu'il ne s'abîme au milieu des grandes forêts de Sénégambie, sur le territoire français et où il n'aurait pu lancer ses hommes sans susciter de graves complications diplomatiques.
Le Washington est tombé. Il n'est pas à plus de mille deux cents mètres de la surface de l'océan et ne s'arrête pas.
À présent, les aviateurs peuvent clairement distinguer l'équipage britannique aligné sur le pont du croiseur, les officiers debout sur la passerelle de commandement et le canon de proue qui tire.
"Dépêchons-nous", dit l'ingénieur. "Ces hommes ne plaisantent pas et ils nous canonneront s'ils s'aperçoivent que nous, au lieu de descendre, nous essayons de monter".
À cet instant, une voix tonitruante s'élève sur le pont du croiseur.
"Descendez !"
L'ingénieur n'a pas daigné répondre et a déployé son drapeau de l'Union.
"Descendez ou nous tirons !" a répété la voix.
"Vous ai-je dit, O'Donnell, que ces renards ont compris qui nous sommes et d'où nous venons ?" a dit l'ingénieur.
Il s'est penché sur la poupe du canot de sauvetage, a pris un mégaphone et a crié : "Que souhaitez-vous ?"
"Que vous descendiez", répondit une voix tonitruante.
"De quel droit ?"
"De navire de guerre."
"Je suis un sujet de l'Union américaine, et n'ai aucun compte à rendre aux navires britanniques de HM."
"Vous amenez un sujet britannique : le condamné Harry O'Donnell.
"Je ne le connais pas."
"Descendez ou nous tirons.
"Allez au diable !" a crié l'ingénieur furieux.
Puis, se tournant vers O'Donnell, qui conservait un admirable sang-froid, et vers le matelot, il dit rapidement : "Lâchez !".
L'Irlandais et Walter ont alors jeté dans l'océan les bouteilles, les boîtes, les barils, les vêtements de rechange, les matelas, les couvertures, tout ce qui encombrait le canot de sauvetage. Une clameur furieuse retentit sur le pont du navire, puis quinze ou vingt coups de feu éclatent, mais l'aérostat est déjà hors de portée. Délesté de ce poids, il avait fait un immense bond, atteignant 3700 mètres.
"Bon voyage !" s'écrie ironiquement l'ingénieur. "J'espère vous faire courir ..."



 

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