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Capitolo 10

Un polipo gigante

Contrariamente alle previsioni di O’Donnell, non si fece ripetere due volte l’ordine ricevuto dal padrone. Una paura ben più tremenda, quella cioè di veder precipitare il pallone nell’oceano, aveva soffocato l’altra, oppure quel ragazzo, che finora non aveva dato prove di coraggio, almeno dinanzi all’irlandese, possedeva dell’audacia nei momenti estremi?
Comunque sia, accettò senza esitare la proposta di andare a liberare l’ancora, lasciandosi scivolare per quella fune, che si allungava per 350 metri. Si passò nella cintola la rivoltella che l’ingegnere gli porgeva, strinse con ambo le mani la guide-rope, incrociò le gambe e cominciò quella pericolosa discesa,.
“Bada a tenerti stretto e fermati a riposare sui nodi che incontrerai,” gli disse l’ingegnere.
“Sì, massa” rispose, con voce però malferma.
“Se scorgi qualche pericolo, fermati sull’ultimo nodo e carica la rivoltella”
“Sì,” rispose ancora Simone.
O’Donnell e l’ingegnere, curvi sulla prua, in preda a una viva ansietà, seguivano con gli occhi l’africano; il quale continuava a discendere senza però guardare all’intorno, forse per tema di venir preso dalle vertigini. Di quando in quando il mostro, che si teneva ostinatamente attaccato al cono, imprimeva all’aerostato delle brusche scosse. Invano l’ingegnere aguzzava gli occhi per riconoscere a quale specie il mostro appartenesse. La distanza era troppo grande, e poi esso si manteneva sotto l’acqua che, ancora cupa a causa della semi-oscurità, nulla lasciava trasparire. Si vedeva però attorno al cono di prua, a spumeggiare e ad alzarsi, come se quel misterioso abitante dell’oceano si dibattesse e facesse degli sforzi prodigiosi per attirare a sé l’aerostato.
Simone intanto continuava a lasciarsi scivolare lungo le guide-ropes, fermandosi solo pochi istanti ogni volta che sotto i piedi incontrava un nodo.
“Vedi nulla?” chiedeva allora l’ingegnere.
Non rispose. Aggrappato convulsamente alla fune, guardava sotto di sé senza muoversi, né aprire le labbra. Cercava di distinguere il mostro, o la paura l’aveva paralizzato?
“Simone!” gridò l'ingegnere.
“Aiu...to..., mas...sa!” si udì gridare.
La voce era strozzata e il suo accento era improntato del più profondo terrore. Che cosa aveva veduto? Senza dubbio un mostro spaventevole, perché il disgraziato pareva inebetito.
Ad un tratto si vide l’acqua agitarsi burrascosamente attorno alla fune..
“Scarica la rivoltella!” tuonò l’ingegnere, che era diventato pallido.
Non era in grado di muoversi: la paura lo aveva paralizzato, e impiegava le sue ultime forze per stringere la fune tra le mani e le ginocchia.
“A me,” disse O’Donnell.
Il coraggioso irlandese, armatosi della seconda rivoltella e di una scure, afferrò la guide-rope, superò il bordo del battello e si spinse fuori; ma l’ingegnere lo trattenne violentemente.
“Disgraziato, che cosa fate?” gridò.
“Vado a soccorrerlo, Mister Kelly,” rispose l'irlandese.
“E come salirete poi?”
“È affar mio.” E si lasciò andare con velocità vertiginosa, dopo aver passato il proprio berretto attorno alla fune per non rovinarsi le mani. “Tieniti fermo,” gli disse O’Donnell “Bada che se cadi, sei perduto.” Lo circondò con un braccio per sorreggerlo, poi guardò sotto di sé. Solo allora comprese che la paura orribile che aveva invaso il povero giovanotto, non era senza motivi.
Là, sommerso a metà, un mostro enorme di colore biancastro, fusiforme, con una testa arrotondata, munita d’una specie di becco somigliante a quello dei pappagalli e armato di otto braccia lunghe almeno bei metri e coronate di ventose, lo fissava con due grandi occhi, piatti e dai glauchi colori.
Quel mostro, che doveva pesare due tonnellate, stringeva con due braccia il cono che serviva da ancora.
Il polipo gigante lasciò andare il cono e scaricò sui due disgraziati aeronauti un torrente di liquido nero, che puzzava di muschio, inondandoli dalla testa ai piedi.
“Puah!” fece l’irlandese, scuotendosi di dosso quella specie d’inchiostro.
Mille bombe...! La faccenda diventa seria!” Guardò giù e mandò un lungo sospiro di sollievo, non scorgendo più l’orribile mostro. Senza dubbio era stato ferito o ucciso dalle sei pallottole e si era inabissato negli immensi baratri dell'oceano.
“Era tempo!” mormorò O’Donnell. “Se avesse continuato ancora un po’ a scuotere la corda, ci avrebbe fatto fare uri bel capitombolo.”
“O’Donnell!” gridò l’ingegnere, che dall’alto della navicella aveva seguito con angoscia inesprimibile quella scena.
“Presente, Mister Kelly” rispose l’irlandese, che aveva sentito riacquistato il suo solito buon umore.
“L’ancora è libera?”
“Sì.”
“Siete feriti?”
“No, ringraziando Iddio; ma quel dannato mostro ci ha profumati con una certa materia che si direbbe inchiostro, o qualcosa di simile. I caimani non puzzerebbero più di noi, ve l’assicuro.”
“Era un cefalopodo?”
“Lo credo.”
“L’avevo sospettato. Fate salire Simone, poi tireremo su voi.”
“Ma se è mezzo morto di paura! Temo anzi di vederlo svenire da un momento all’altro.”
Ed era proprio vero. La sua pelle era grigia, cioè pallidissimo; dalle sue labbra uscivano parole tronche e senza senso, e i suoi occhi, stravolti, parevano fissi su di un punto immaginario e si illuminavano di quando in quando di certi lampi, simili a quelli che animano gli occhi dei pazzi.
“Ehi, Simone!” disse O’Donnell. “Su, per Bacco! Coraggio! Vuoi rimanere qui fino a domani?”
Rispose con uno scroscio di risa; ma era uno di quegli scrosci che invece di mettere allegri fanno male.
“Che sia diventato pazzo per la paura?” si chiese l’irlandese, impallidendo. “Non ci mancherebbe che questo per peggiorare la nostra situazione.”
“Ebbene?” chiese l’ingegnere. “Affrettatevi, che l’idrogeno comincia a dilatarsi.”
“Provate a scuoterlo.”
“È inutile: è un uomo mezzo morto. Mandatemi una corda con cui legarlo per bene, e poi cercherò di risalire io.”
“Ma vi sono trecentocinquanta metri.”
“Riposando sui nodi, spero di raggiungervi. Affrettatevi, che le mie forze se ne vanno.”
“Attento alla testa!” L’ingegnere circondò le guide-ropes di una fune e la lasciò scorrere: O’Donnell fu lesto ad afferrarla prima che gli precipitasse sulla testa.
“Non muoverti, Simone.” disse.
Gli passò la corda sotto le ascelle più volte, poi attorno alle gambe, legandolo solidamente alla guide-rope. Quando fu certo di averlo assicurato in modo da impedirgli di cadere, anche se uno svenimento lo avesse colto, stringendo le mani e le ginocchia attorno alla fune, si mise a salire.
La via era lunga. Si riposò alcuni minuti sul primo nodo, poi raggiunse il secondo, che era lontano quindici metri, poi il terzo, quindi gli altri, impiegando quasi un’ora.
L’ingegnere, appena lo vide sotto la navicella, lo afferrò tra le braccia e, facendo uno sforzo erculeo, lo trasse a bordo.
“Auff!” esclamò O’Donnell. lasciandosi cadere di peso su una cassa. “Non no posso più, Mister Kelly. Se vi fossero stati altri venti metri, sarei caduto in fondo all’oceano.”
“Un marinaio non avrebbe fatto di più, mio bravo amico,” disse l’ingegnere, porgendogli una bottiglia di whisky.
“Grazie, Mister Kelly.” rispose l’irlandese dopo aver ingollato parecchi sorsi.
“E Simone?”
“È sempre in fondo alla corda. Non si muoverà: l’ho legato come un salame. Temo che la paura gli abbia sconvolto il cervello.”
“Lo credete, O’Donnell?” chiese l’ingegnere, con emozione.
“Temo: mi guardava in modo da farmi venire i brividi.”
“Affrettiamoci a issarlo, allora...”
“Questo viaggio lo ha scombussolato.”
“Tuttavia, quando gli feci la proposta di continuare mi, egli accettò con grande gioia. Mi spiacerebbe assai avergli causato una disgrazia simile.”
“Sarà forse una esaltazione momentanea, causata dalla paura. Vi assicuro però che quel mostro faceva venire la pelle d’oca anche a me, per non dire che mi gelava il sangue. Per Giove e Saturno! Che occhi! Non li dimenticherò mai, dovessi vivere mille anni! Orsù, issiamo quel povero Simone.”

 

 Chapitre 10

Une pieuvre géante

Contrairement aux prédictions d'O'Donnell, il n'a pas fait répéter deux fois l'ordre de son maître. Une peur bien plus terrible, celle de voir le ballon tomber dans l'océan, a-t-elle étouffé l'autre, ou ce garçon, qui n'avait jusqu'alors pas fait preuve de courage, du moins face à l'Irlandais, avait-il de l'audace dans les moments extrêmes ?
Quoi qu'il en soit, il accepta sans hésiter la proposition d'aller libérer l'ancre en se laissant glisser le long de cette corde qui s'étendait sur 350 mètres. Il glissa le revolver que l'ingénieur lui tendit dans sa ceinture, saisit à deux mains le guide-corde, croisa les jambes et commença cette dangereuse descente.
"Assurez-vous de bien vous accrocher, de vous arrêter et de vous reposer sur les nœuds que vous rencontrez", lui a dit l'ingénieur.
“Sì, massa” rispose, con voce però malferma.
“Se scorgi qualche pericolo, fermati sull’ultimo nodo e carica la rivoltella”
“Sì,” rispose ancora Simone.
O’Donnell e l’ingegnere, curvi sulla prua, in preda a una viva ansietà, seguivano con gli occhi l’africano; il quale continuava a discendere senza però guardare all’intorno, forse per tema di venir preso dalle vertigini. Di quando in quando il mostro, che si teneva ostinatamente attaccato al cono, imprimeva all’aerostato delle brusche scosse. Invano l’ingegnere aguzzava gli occhi per riconoscere a quale specie il mostro appartenesse. La distanza era troppo grande, e poi esso si manteneva sotto l’acqua che, ancora cupa a causa della semi-oscurità, nulla lasciava trasparire. Si vedeva però attorno al cono di prua, a spumeggiare e ad alzarsi, come se quel misterioso abitante dell’oceano si dibattesse e facesse degli sforzi prodigiosi per attirare a sé l’aerostato.
"Oui, masse," répondit-il, mais sa voix était instable.
« Si vous voyez un danger, arrêtez-vous au dernier nœud et chargez votre revolver »
"Oui," répondit Simone à nouveau.
O'Donnell et l'ingénieur, penchés sur la proue, dans une grande inquiétude, regardaient l'Africain des yeux ; qui continuait à descendre sans pourtant se retourner, peut-être de peur d'être pris de vertige. De temps en temps, le monstre, qui s'accrochait obstinément au cône, donnait au ballon de brusques secousses. En vain l'ingénieur tendit-il les yeux pour reconnaître à quelle espèce appartenait le monstre. La distance était trop grande, et puis il resta sous l'eau qui, encore sombre à cause de la pénombre, ne révélait rien. Cependant, on le voyait autour du cône de proue, écumant et s'élevant, comme si ce mystérieux habitant de l'océan se débattait et faisait des efforts prodigieux pour attirer le ballon à lui.
Soudain, nous vîmes l'eau s'agiter orageusement autour de la corde.
« Déchargez le revolver ! tonna l'ingénieur qui avait pâli.
Il était incapable de bouger : la peur l'avait paralysé, et il utilisa ses dernières forces pour saisir la corde entre ses mains et ses genoux.
"Moi," dit O'Donnell.
Le brave Irlandais, armé d'un second revolver et d'une hache, saisit le guide-corde, passa le bord du bateau et se poussa dehors ; mais l'ingénieur le retint violemment.
« Misérable, qu'est-ce que tu fais ? il cria.
"Je vais l'aider, Monsieur Kelly", répondit l'Irlandais.
« Et comment allez-vous monter alors ?
"C'est mon affaire." Et il se laissa aller à une vitesse vertigineuse, après avoir passé sa casquette autour de la corde pour ne pas s'abîmer les mains. "Tiens-toi tranquille", lui dit O'Donnell, "regarde que si tu tombes, tu es perdu." Elle passa un bras autour de lui pour le stabiliser, puis baissa les yeux. Ce n'est qu'alors qu'il se rendit compte que l'horrible peur qui avait envahi le pauvre jeune homme n'était pas sans raison.
Là, à moitié submergé, un énorme monstre blanchâtre, fusiforme, à tête arrondie, muni d'une sorte de bec ressemblant à celui des perroquets et armé de huit bras d'au moins plusieurs mètres de long et couronnés de ventouses, le fixait de deux grands yeux , plats et aux couleurs glauques.
Ce monstre, qui devait peser deux tonnes, serrait le cône qui servait d'ancre à deux bras.
La pieuvre géante lâcha le cône et déversa un torrent de liquide noir, qui sentait le musc, sur les deux malheureux aéronautes, les inondant de la tête aux pieds.
« Pouf ! dit l'Irlandais en secouant ce genre d'encre.
Mille bombes...! Ça devient sérieux !" Il baissa les yeux et poussa un long soupir de soulagement, ne voyant plus l'horrible monstre. Sans doute avait-il été blessé ou tué par les six balles et s'était enfoncé dans les immenses abîmes de l'océan.
"C'était l'heure!" murmura O'Donnell. "S'il avait continué à balancer la corde un peu plus longtemps, il nous aurait fait une sacrée chute."
"O'Donnell !" s'écria l'ingénieur, qui avait suivi la scène avec une angoisse inexprimable du haut du navire.
« Ici, monsieur Kelly », répondit l'Irlandais, qui avait retrouvé sa bonne humeur habituelle.
« L'ancre est-elle libre ? »
"Oui."
"Es-tu blessé?"
« Non, Dieu merci ; mais ce maudit monstre nous a parfumés d'une certaine substance qui semble être de l'encre, ou quelque chose de semblable. Les caïmans ne pueraient pas plus que nous, je vous assure."
« Était-ce un céphalopode ?
"Je crois."
« Je m'en doutais. Faites monter Simone, puis nous viendrons vous chercher."
« Mais il est à moitié mort de peur ! En fait, j'ai peur de le voir s'évanouir à tout moment."
Et c'était vraiment vrai. Sa peau était grise, c'est-à-dire très pâle ; des mots tronqués et vides de sens sortaient de ses lèvres, et ses yeux, déformés, semblaient fixés sur un point imaginaire et s'illuminaient de temps en temps de certains éclairs, semblables à ceux qui animent les yeux des fous.
« Hé, Simon ! » dit O'Donnell. « Debout, par Bacchus ! Courage! Voulez-vous rester ici jusqu'à demain ? »
Il répondit par un éclat de rire ; mais c'était une de ces averses qui font mal au lieu d'être heureuses.
« Est-il devenu fou de peur ? demanda l'Irlandais en pâlissant. "Cela ne ferait qu'aggraver notre situation."
"Bien?" demanda l'ingénieur. "Dépêchez-vous, l'hydrogène commence à se dilater."
"Essayez de le secouer."
« C'est inutile : c'est un homme à moitié mort. Envoie-moi une corde pour l'attacher, puis j'essaierai de me relever."
"Mais il y a trois cent cinquante mètres là-bas."
"En me reposant sur les nœuds, j'espère vous rejoindre. Dépêchez-vous, ma force est épuisée."
"Regarde ta tête!" L'ingénieur entoura les guide-cordes d'une corde et la laissa glisser : O'Donnell ne tarda pas à la saisir avant qu'elle ne lui tombe sur la tête.
"Ne bouge pas, Simone." Dit-elle.
Il passa plusieurs fois la corde sous ses aisselles, puis autour de ses jambes, en l'attachant solidement au guide-corde. Lorsqu'il fut certain de l'avoir attaché de manière à l'empêcher de tomber, même s'il s'évanouissait, il resserra ses mains et ses genoux autour de la corde et commença à grimper.
Le chemin était long. Il s'est reposé quelques minutes sur le premier nœud, puis a atteint le deuxième, qui était à une quinzaine de mètres, puis le troisième, puis les autres, prenant près d'une heure.
L'ingénieur, dès qu'il l'a vu sous le bateau, l'a saisi dans ses bras et, faisant un effort herculéen, l'a tiré à bord.
"Ouah!" s'exclama O'Donnell. tomber corporellement sur une caisse. « Je n'en peux plus, Monsieur Kelly. S'il y avait eu vingt mètres de plus, je serais tombé au fond de l'océan.
« Un marin n'aurait pas pu faire plus, mon bon ami », dit l'ingénieur en lui tendant une bouteille de whisky.
"Merci, Monsieur Kelly." répondit l'Irlandais après avoir avalé plusieurs gorgées.
"Et Simon?"
« Il est toujours au bout du rouleau. Il ne bouge pas : je l'ai attaché comme un salami. J'ai peur que la peur lui ait tordu le cerveau.
« Le croyez-vous, O'Donnell ? demanda l'ingénieur avec émotion.
"J'ai peur : il m'a regardé d'une manière qui m'a donné la chair de poule."
"Hâtons-nous de le hisser, alors..."
"Ce voyage l'a gâché."
"Cependant, quand je lui ai fait la proposition de continuer ma carrière, il a accepté avec une grande joie. Je serais bien fâché de lui avoir causé un tel malheur.
« Ce sera peut-être une exaltation momentanée, causée par la peur. Je vous assure cependant que ce monstre m'a aussi donné la chair de poule, sans compter qu'il m'a glacé le sang. Pour Jupiter et Saturne ! Quels yeux ! Je ne les oublierai jamais, dussais-je vivre mille ans ! Allez, hissons cette pauvre Simone."

 



 

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