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Capitolo 13
L’Atlantide
Il Washington, scaricato di quel peso considerevole, risaliva rapidamente verso le masse di vapori, che ingombravano la volta celeste. I muggiti dell’Atlantico, che il vento sollevava in enormi ondate, diventavano più fiochi via via che l’aerostato s’allontanava.
In pochi minuti gli aeronauti superarono la distanza che li separava dalle nubi e si trovarono avvolti, da un istante all’altro, fra una fitta nebbia carica di umidità, che pareva aprirsi a stento dinanzi all’aerostato. La temperatura scese bruscamente a 4° sopra zero, e un’oscurità intensa avvolse l’ingegnere, O’Donnell ed il negro.
Attraverso quei vapori, che dovevano avere uno spessore enorme, si vedevano di quando in quando guizzare dei rapidi bagliori che tosto scomparivano, e alcune fiammelle azzurre, i fuochi di Sant’Elmo, vennero a posarsi sui bordi della navicella ed a danzare sulle maglie della rete.
Simone, atterrito, emise un urlo acuto e balzò bruscamente in piedi con gli occhi smarriti, i capelli arruffati, il viso stravolto; ma O’Donnell gli si era messo a fianco e, afferratolo strettamente per le braccia, lo costrinse a sedersi.
“Non spaventarti, Simone” gli disse. “Attraversiamo le nubi, e quei fuochi non bruciano nessuno.”
L’aerostato in due minuti attraversò la massa di vapori e s’innalzò attraverso l’atmosfera pura, dove in alto scintillavano le stelle, e all’orizzonte brillava la luna, versando sugli aeronauti i suoi azzurrini raggi d’una dolcezza infinita.
Al disotto si vedevano le nubi accavallarsi confusamente sotto la spinta furiosa del vento, e nel loro seno guizzavano linee di fuoco. Di quando in quando dei tuoni formidabili irrompevano da quelle masse nebbiose e si propagavano con incredibile intensità attraverso le profondità incommensurabili della volta celeste.
Dell’oceano non vi era più traccia alcuna; anzi si sarebbe detto che la terra era scomparsa e che l’aerostato fosse uscito dalla sua orbita, per fuggire verso la luna.
In quelle alte regioni, il vento, non più frenato da alcun ostacolo, né contrariato da alcuna corrente, correva con velocità incredibile, trascinando con sé non più verso il sud-sud-est, ma verso l’est, spingendolo lungo il 32° parallelo.
“Finalmente” esclamò l’ingegnere. “Era tempo che il vento ci trascinasse verso l’oriente! Se si mantiene così in poche ore attraverseremo un grande tratto.”
“Con quale rapidità avanziamo?” chiese O’Donnell.
“Con la velocità delle grandi tempeste, cioè in ragione di novant’otto chilometri all’ora.”
“Altro che ferrovie!”
“Deve infuriare una tremenda tempesta sull’Atlantico” disse l’ingegnere.
“Compiango le navi che si trovano in pieno oceano, Mister Kelly.”
“Forse qualcuna non toccherà le sponde dell’Europa o dell’America.”
“Mentre noi non corriamo alcun pericolo.”
“Quassù, a 3500 metri d’altezza, no: ma se il nostro aerostato si fosse trovato esausto d’idrogeno e senza zavorra, nessuno di noi si sarebbe salvato. Udite che tuoni e guardate quante folgori solcano quelle nubi cariche di elettricità.”
“Il nostro Washington sarebbe stato fulminato.”
“Prima d’ogni altra cosa, O’Donnell. Essendo il più vicino alle nubi, avrebbe ricevuta le prime scariche.”
“Uccide sempre sul colpo la folgore, Mister Kelly?”
“No, O’Donnell: altre volte invece fa dei pessimi scherzi, ma che non sono mortali. Ora si limita a incenerire le vesti della persona senza recare alcun dolore: ora fonde o distrugge le monete, senza toccare il borsellino che la persona tiene in tasca, o scalza di colpo un viandante lasciandogli gli stivali. Si sono osservati in proposito, dei fenomeni bizzarri, inesplicabili. Si sono vedute delle persone uccise dal fulmine, ma che dopo colpite conservavano le carni fresche, come se fossero ancora vive: delle altre, invece, che le avevano completamente consumate.”
“Sono assai capricciosi i fulmini, Mister Kelly!”
“Molto, caro amico. Il signor Neal, per esempio, ha veduto un disgraziato, a cui un fulmine aveva consumato le mani fino alle ossa, lasciandogli intatti i guanti.”
“È strano!”
“Altri hanno veduto delle persone alle quali i fulmini avevano lacerato o distrutto le vesti senza offendere la pelle del corpo, ed altre, invece, che avevano la pelle bruciata e le vesti intatte. Howard, anzi asserisce d’aver veduto un contadino a cui un fulmine aveva scucito gli abiti e gli stivali, ma così bene che pareva opera d'un sarto o d’un calzolaio. Il dottor Gualtiero di Chaubry, invece, ebbe la barba rasa da un fulmine e non gli spuntò più.”
“Ci sono quindi dei fulmini barbieri!”
“Un altro fu privato interamente del pelo che cresceva sul corpo, e i peli furono trovati incrostati e aggrovigliati attorno ai suoi polpacci.”
“Quello era un fulmine rasoio di tempra eccezionale!”
“Sì, burlone; ma vi sono i fulmini incisori. Un soldato, toccato da un fulmine, ebbe riprodotte su di una coscia tre foglie, che non scomparvero più, e io so che una signora, in Svizzera, ebbe disegnato un fiore sulla gamba sinistra. Dei fenomeni bizzarri furono osservati durante il terribile ciclone che il 19 agosto 1870 rovinò la città di S. Claudio nel Giura. Gli alberi colpiti dalle folgori divennero rossi; moltissime serrature furono guastate, perfino negli appartamenti ben chiusi; numerose porte furono private delle loro ferramenta, ed entro case che non erano state colpite dalle scariche elettriche si trovarono delle chiavi contorte entro i cassetti, e perfino a dei mobili strappate tutte le viti.”
“Sono cose che spaventano, Mister Kelly.”
“Vi credo O’Donnell. Fortunatamente noi siamo fuori della portata delle folgori.”
Intanto l’uragano si scatenava con estrema violenza sotto l’aerostato.
Il vento sconvolgeva le nubi, che s’alzavano qua e là come un oceano in tempesta, si laceravano, si pigiavano, roteavano, ora bianche con riflessi di madreperla, ora rosse come se nel loro seno avvampasse un fuoco immenso, ora nere come se tutto d’un tratto si rovesciasse su di loro un mare d’inchiostro o di bitume. Sibili acuti, stridii prolungati, scrosci formidabili, ora secchi e brevi, ora interminabili, uscivano da quelle masse, che l’uragano trasportava sulle sue possenti ali, e tutti quei fragori si perdevano in alto e abbasso, formando un cupo rimbombo. Talvolta, quando quei tuoni tacevano, s’udiva sotto le nubi un lontano muggito: era l’oceano che prendeva parte a quella terribile gara degli elementi scatenati.
L’aerostato che si manteneva a 3600 metri, divorava lo spazio con fantastica rapidità, in balìa delle correnti aeree, quantunque sembrasse immobile o quasi. La corrente che prima lo spingeva verso l’est si era spezzata, forse a causa dell’incontro con un’altra che aveva diversa direzione, e deviava sovente, ora piegando verso il sud, ora riprendendo la direzione precedente.
I due immensi fusi subivano di tratto delle scosse, e quando il vento cambiava, s’inclinavano verso prua, imprimendo alla navicella delle brusche oscillazioni.
Nessuno osava dormire. La paura che l’aerostato s’abbassasse, per causa del condensamento dell’idrogeno o d’un strappo, e che entrasse fra quelli nubi tempestose e sature di elettricità, li teneva svegli. Infine Simone, malgrado quei tuoni, si assopì fra due casse. Ma il suo sonno era agitato: di quando in quando trabalzava, agitava pazzamente le braccia, apriva i grandi occhi e dalle sue labbra uscivano delle grida rauche che tradivano sempre un profondo terrore. Quel disgraziato, se non era pazzo, poco ci mancava: il suo cervello doveva aver riportato un perturbamento pericoloso, dopo l’incontro del polipo gigante.
Alle due del mattino, l’aerostato si trovò quasi improvvisamente sopra l’oceano. Le masse di vapore colà cessavano e pareva che sfuggissero per il sud, forse spinte da un’altra corrente aerea.
Per alcuni minuti si vide quell’immenso accatastamento di nubi ondeggiare fra cielo e mare, fra il balenare dei lampi, poi scomparve sul fosco orizzonte. I fragori cessarono rapidamente, si udì ancora come un lontano rullìo, poi i muggiti dell’oceano soffocarono la voce dell’elettricità.
Giù, in fondo, si vedeva confusamente l’Atlantico, che i pallidi raggi dell’astro notturno illuminavano. Appariva come un immenso velo d’una tinta indefinibile, fra l’azzurro cupo e il marrone, sbattuto, agitato da poderosi colpi di vento. A intervalli si scorgevano degli spazi, delle linee biancastre che si muovevano rapidamente e che subito scomparivano. Doveva essere la spuma che incoronava enormi ondate.
O’Donnell, che osservava tutto, additò all’ingegnere una nave che fuggiva verso il sud, con la velatura ridotta. La si vedeva salire faticosamente gli enormi cavalloni, sprofondare negli avvallamenti, rimontare, poi discendere e quasi scomparire fra la spuma. Per alcuni istanti si scorsero i suoi fanali di posizione, che brillavano come due punti luminosi, uno rosso e l’altro verde, poi più nulla.
L’aerostato, spinto dal vento, che aveva ora un impulso di ottanta chilometri all’ora, s’allontanava, lasciando indietro tutto. Nessuna nave, nessun incrociatore, dotato delle più potenti macchine poteva gareggiare con esso.
Alle tre l’irlandese, che si ostinava a rimanere sveglio quantunque ogni pericolo fosse ormai cessato, essendo il cielo purissimo, sgombro d’ogni nube, segnalò un vivo chiarore che appariva sull’oceano, verso il nord-est.
“Un’isola forse?” chiese all’ingegnere, che aveva afferrato un cannocchiale.
“Una terra qui? E impossibile, O’Donnell” rispose Kelly.
“Le Azzorre non sono sulla nostra rotta?”
“No: sono più al nord, e poi sono ancora assai lontane.”
“Possono essere le Canarie, Mister Kelly?”
“Nemmeno, O’Donnell. Sono più lontane delle Azzorre.”
“Possono essere quelle del Capo Verde.”
“Malgrado la nostra rapida corsa, devono distare ancora di qualche migliaio e più di miglia; e poi credo che l’uragano ci abbia spinti verso il sud.”
“Ma qual cosa supponete che sia dunque?”
“La distanza è troppa e l’oscurità fitta, per discernere qualche cosa; ma io temo che sia un incendio.”
“Un incendio!? Dove?”
“Forse di una nave.”
“Per San Patrick! Una nave brucia in mezzo all’uragano! Una nave che brucia in mezzo all’uragano! Quale terribile situazione per l’equipaggio!”
“Potrebbe pur essere qualche vulcano, O’Donnell.”
“Un vulcano in mezzo all’Atlantico! Che cosa dite, Mister Kelly?”
“E perché no, amico mio?”
“Se dite che siamo lontani da tutte le isole, dove volete che posi questo vulcano? Sulle onde forse?”
“Sul fondo dell’oceano.”
“Ma, che io sappia, nessun vulcano fu segnalato in mezzo all’Atlantico.”
“Ebbene, che importa? Non può essere sorto da un momento all’altro, forse in questa notte? Credete voi che il fondo dell’Atlantico sia tranquillo? No, O’Donnell: s’agita sovente la sotto la spinta dei fuochi interni, subisce talora delle modificazioni, s’alza o s’abbassa, e nel 1811 formò perfino un’isola vulcanica nei pressi delle Azzorre, al largo di San Michele.”
“Un’isola!”
“Sì, quella chiamata Sabrina, che si elevò sull’oceano per trecento metri, ma che poi fu demolita dai flutti. Un’altra pure ne emerse in quei paraggi dopo una abbondante eruzione di vapori, di fumo e di fuoco, durante un terremoto; ma subito scomparve.”
“Vi sono quindi delle isole vulcaniche in quest’oceano?”
“Forse che le Azzorre, le Canarie, Ascensione, S. Elena e Tristan da Cunha non sono di origine vulcanica?”
“Anche le Bermude?”
“No, O’Donnell: quelle sono state formate dai coralli.”
“Se, come mi dite, il fondo dell’Atlantico subisce delle modificazioni e s’agita, si può prestare fede agli antichi scrittori circa la scomparsa dell’Atlantide.”
“E perché no?”
“Ma credete che sia realmente esistito quel continente? E, prima di tutto, che cos’era quest’Atlantide di cui ho udito vagamente parlare?”
“Un’isola immensa, grande, secondo gli antichi, come la Libia e l’Asia minore riunite, e che si estendeva al di qua delle Colonne d’Ercole, ossia dello Stretto di Gibilterra, e che altre isole minori congiungevano ad un continente.
Tutti gli scrittori antichi ne fanno parola, e ciò fa supporre che sia realmente esistita o che esista tutt’ora.”
“Che esista? Dove mai, Mister Kelly?”
“Ve lo dirò poi. Omero nella sua Odissea l’accenna; Esiodo nella sua Teogonia, Euripide nei suoi drammi, Solone nella grande epopea da lui ideata, Platone, Strabone e anche Plinio ne parlarono.
Sembra che gli Atlantidi giungessero nel Mediterraneo, spinti dal desiderio di altre conquiste e che cercassero di sottoporre al loro dominio la Grecia; ma sarebbero stati respinti dai primitivi Ateniesi. Avrebbero però invaso parte del Mediterraneo, l’Egitto, l’Africa settentrionale e le coste della Tirrenia, ossia dell’attuale Italia e alcune parti dell’opposto continente.
Si dice che in quella grande occasione regnasse una potente schiatta di re e che numerose tribù la occupassero. In una certa epoca, però, dopo violenti terremoti e diluvi, l’isola sarebbe stata inghiottita con tutti i suoi abitanti. Anche i cartaginesi fanno menzione di un’isola deliziosa: anzi avevano deciso di andare ad occuparla, nel caso che un disastro avesse distrutto la loro repubblica.”
“Ma in quale modo venne inghiottita?”
“Si sono date diverse spiegazioni. Alcuni credono a causa di un tremendo terremoto; altri, fra i quali Bory de Saint-Vincent e Mantelle, due eminenti scienziati, credono che sia stata subissata dall’irrompere nell’oceano delle acque di un grande lago salato dell'Africa, forse quello del Sahara, che sembrerebbe il letto d’un antico mare.”
“Io però la penso diversamente, O’Donnell; e credo che l’Atlantide esista ancora. Sarà o sembrerà una enormità, ma io ritengo che gli antichi fossero, in fatto di cognizioni geografiche, ben più innanzi degli europei del 1400 e anche del 1500. Si dice che quell'isola si estendeva al di là delle Colonne d’Ercole e che numerose altre isole più piccole la univano ad un continente. Ebbene, gettate uno sguardo sulla carta del nostro globo. Che cosa vedete all’occidente dell’Europa?”
“L’America” disse O’Donnell. che prestava grande attenzione alle parole dell’ingegnere.
“E dopo, l’America?
“Ma possibile!”
“Aspettate: che cosa vedete?”“
“Le innumerevoli isole dell’Oceano Pacifico?”
“E poi?”
“Il grande continente asiatico-europeo!” esclamò O’Donnell.
“Io dunque concludo che l’Atlantide degli antichi era l’attuale America, che le isole che la univano all’opposto continente sono quelle dell’Oceano Pacifico e che quell’opposto continente è quello asiatico-europeo, il solo che gli antichi greci potevano conoscere.”
“Dunque gli antichi conoscevano la rotondità del globo.”
“Sì, O’Donnell: io ne sono convinto e affermo che essi conoscevano la nostra Terra meglio che gli europei del 1400.”
“Ma quei terremoti e quei diluvi, quelle terre subissate?”
“Quei terremoti, quel grande cataclisma può essere avvenuto, può avere inghiottito qualche isola, come può, invece, aver fatto sorgere le Azzorre e le Canarie, che sono, come ho già detto, d’origine vulcanica. Chissà? Forse gli antichi navigatori, spaventati da quel cataclisma, non ardirono più avventurarsi sull’Atlantico, e l’America rientrò nel buio e fu dimenticata fino all’epoca in cui Colombo e Caboto e via via gli altri grandi navigatori la fecero ancora conoscere alle popolazioni europee.”
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L'Atlantide
Le Washington, déchargé de ce poids considérable, s'élève rapidement vers les masses de vapeur qui encombrent la voûte céleste. Le mugissement de l'Atlantique, que le vent soulève en vagues énormes, s'atténue à mesure que le ballon s'éloigne.
En quelques minutes, les aéronautes ont franchi la distance qui les séparait des nuages et se sont retrouvés enveloppés, d'un instant à l'autre, dans un brouillard dense et chargé d'humidité qui semblait s'ouvrir à peine devant l'aérostat. La température est tombée brusquement à 4° au-dessus de zéro, et une obscurité intense a enveloppé l'ingénieur, O'Donnell et le nègre.
À travers les vapeurs, qui devaient être très épaisses, on voyait de temps en temps des éclairs rapides, qui disparaissaient bientôt, et quelques flammes bleues, les feux de Saint-Elme, venaient se poser sur les bords du navire et danser sur les mailles du filet.
Simone, terrifié, poussa un cri aigu et sauta brusquement sur ses pieds, les yeux ahuris, les cheveux ébouriffés et le visage désemparé ; mais O'Donnell se plaça à côté de lui et, le saisissant fermement par les bras, le força à s'asseoir.
"N'aie pas peur, Simone", lui a-t-il dit. "Nous traversons les nuages, et ces feux ne brûlent personne."
En deux minutes, l'aérostat traversa la masse de vapeurs et s'éleva dans l'atmosphère pure, où au-dessus scintillaient les étoiles, et à l'horizon brillait la lune, qui déversait sur les aéronautes ses rayons d'azur d'une douceur infinie.
En dessous, on pouvait voir des nuages qui s'entremêlaient sous la poussée furieuse du vent, et dans leur sein s'élançaient des lignes de feu. De temps en temps, de formidables tonnerres éclataient de ces masses brumeuses et se propageaient avec une intensité incroyable dans les profondeurs incommensurables de la voûte céleste.
De l'océan, il n'y avait plus aucune trace ; on aurait même dit que la terre avait disparu et que l'aérostat avait quitté son orbite, pour fuir vers la lune.
Dans ces hautes régions, le vent, qui n'était plus retenu par aucun obstacle, ni contré par aucun courant, courait avec une vitesse incroyable, balayant avec lui non plus vers le sud-sud-est, mais vers l'est, le poussant le long du 32e parallèle.
"Enfin", s'exclame l'ingénieur. "Il est grand temps que le vent nous entraîne vers l'est ! Si ça reste comme ça dans quelques heures, nous traverserons un grand tronçon."
"A quelle vitesse on avance ?" a demandé O'Donnell.
"Avec la vitesse des grandes tempêtes, c'est-à-dire à quatre-vingt-dix-huit kilomètres à l'heure."
"Tant pis pour les chemins de fer !"
"Une énorme tempête doit faire rage sur l'Atlantique", dit l'ingénieur.
"Je plains les navires qui sont au milieu de l'océan, M. Kelly."
"Peut-être que certains ne toucheront pas les rives de l'Europe ou de l'Amérique."
"Alors que nous ne sommes pas en danger."
"Ici, à 3500 mètres d'altitude, non : mais si notre ballon avait manqué d'hydrogène et sans lest, aucun de nous n'aurait été sauvé. Entendez ce tonnerre, et voyez combien d'éclairs traversent ces nuages chargés d'électricité."
"Notre Washington aurait été électrocuté."
"Tout d'abord, O'Donnell. Étant le plus proche des nuages, il aurait reçu les premières décharges."
"Le coup de foudre tue-t-il toujours à l'impact, M. Kelly ?"
"Non, O'Donnell : à d'autres moments, il fait de mauvais tours, mais qui ne sont pas fatals. Maintenant, elle incinère simplement les vêtements de la personne sans lui causer de douleur ; maintenant, elle fait fondre ou détruit les pièces de monnaie, sans toucher le porte-monnaie que la personne garde dans sa poche, ou elle fait soudainement tomber un voyageur, le laissant avec ses bottes. Des phénomènes bizarres et inexplicables ont été observés. On a vu des personnes qui avaient été tuées par la foudre, mais qui, après avoir été frappées, gardaient leur chair fraîche, comme si elles étaient encore vivantes : d'autres, en revanche, l'avaient complètement consumée."
"La foudre est très capricieuse, Mr Kelly !"
"Tout à fait, cher ami. M. Neal, par exemple, a vu un malheureux dont les mains avaient été consumées jusqu'à l'os par la foudre, laissant ses gants intacts."
"C'est étrange !"
" D'autres ont vu des personnes dont les vêtements avaient été déchirés ou détruits par la foudre sans que la peau du corps ait été offensée, et d'autres dont la peau avait été brûlée et les vêtements intacts. Howard, en effet, prétend avoir vu un paysan dont les vêtements et les bottes avaient été déchirés par la foudre, mais si bien que cela ressemblait au travail d'un tailleur ou d'un cordonnier. Le docteur Gualtiero de Chaubry, quant à lui, a eu la barbe rasée par la foudre, et elle n'a jamais repoussé."
"Il y a donc des barbiers foudroyants !"
"Un autre a été dépouillé entièrement des poils qui poussaient sur son corps, et les poils ont été retrouvés incrustés et emmêlés autour de ses mollets".
"C'était un éclair de rasoir d'une trempe exceptionnelle !"
"Oui, farceur ; mais il y a des éclairs de gravure. Un soldat, touché par la foudre, avait trois feuilles gravées sur sa cuisse, qui n'ont jamais disparu, et je sais qu'une dame en Suisse avait une fleur dessinée sur sa jambe gauche. Des phénomènes bizarres ont été observés lors du terrible cyclone qui a ruiné la ville de St Claudius dans le Jura le 19 août 1870. Les arbres frappés par la foudre sont devenus rouges ; un grand nombre de serrures ont été cassées, même dans des appartements fermés hermétiquement ; de nombreuses portes ont été dépouillées de leurs ferrures, et dans les maisons qui n'avaient pas été frappées par des chocs électriques, on a trouvé des clés tordues dans des tiroirs, et même des meubles dont toutes les vis ont été arrachées."
"Ce sont des choses effrayantes, M. Kelly."
"Je vous crois, O'Donnell. Heureusement, nous sommes hors de portée des foudres."
Pendant ce temps, l'ouragan faisait rage avec une extrême violence sous l'aérostat.
Le vent bouleversait les nuages, qui s'élevaient çà et là comme un océan houleux, se déchiraient, s'agitaient, tourbillonnaient, tantôt blancs avec des reflets de nacre, tantôt rouges comme si un feu immense flambait en leur sein, tantôt noirs comme si une mer d'encre ou de bitume se déversait soudain sur eux. Des sifflements aigus, des cris prolongés, des coups de tonnerre formidables, tantôt secs et brefs, tantôt interminables, sortaient de ces masses que l'ouragan portait sur ses puissantes ailes, et tous ces grondements se perdaient haut et bas, formant un grondement lugubre. Parfois, lorsque le tonnerre se taisait, un mugissement lointain se faisait entendre sous les nuages : c'était l'océan qui participait à ce terrible concours des éléments déchaînés.
L'aérostat, qui culmine à 3 600 mètres, dévore l'espace avec une rapidité fantastique, au gré des courants d'air, même s'il semble immobile ou presque. Le courant qui l'avait précédemment poussé vers l'est s'était brisé, peut-être à cause de la rencontre avec un autre qui avait une direction différente, et il déviait fréquemment, tantôt se penchant vers le sud, tantôt reprenant sa direction précédente.
Les deux immenses fuseaux s'agitent de temps en temps, et lorsque le vent tourne, ils s'inclinent vers l'avant, donnant au navire de brusques oscillations.
Personne n'osait dormir. La crainte que l'aérostat ne coule, en raison d'une condensation d'hydrogène ou d'une déchirure, et que des nuages d'orage saturés d'électricité n'entrent, les tenait éveillés. Finalement, Simone, malgré le tonnerre, s'est assoupie entre deux caisses. Mais son sommeil était agité : de temps en temps, il se tournait et se retournait, agitait follement ses bras, ouvrait ses grands yeux, et de ses lèvres sortaient des cris rauques qui trahissaient toujours une profonde terreur. Ce malheureux, s'il n'était pas fou, il l'était : son cerveau devait être dangereusement perturbé après la rencontre avec la pieuvre géante.
A deux heures du matin, le ballon s'est retrouvé presque soudainement au-dessus de l'océan. Les masses de vapeur ont cessé et semblaient s'échapper vers le sud, peut-être poussées par un autre courant d'air.
Pendant quelques minutes, on a pu voir cet immense amas de nuages se balancer entre ciel et mer, au milieu des éclairs, puis disparaître sur l'horizon morne. Le grondement a rapidement cessé, on entendait encore un grondement lointain, puis le mugissement de l'océan a noyé la voix de l'électricité.
Au fond, on apercevait faiblement l'Atlantique, que les pâles rayons de l'astre nocturne illuminaient. Il apparaissait comme un immense voile d'une teinte indéfinissable, entre bleu foncé et brun, fouetté, secoué par de puissantes rafales de vent. Par intervalles, on pouvait voir des lacunes, des lignes blanchâtres qui se déplaçaient rapidement et disparaissaient aussitôt. Ce devait être l'écume couronnant d'énormes vagues.
O'Donnell, qui observe tout, fait remarquer à l'ingénieur un navire qui fuit vers le sud, avec une voile réduite. On pouvait la voir grimper laborieusement sur l'énorme lee, s'enfoncer dans les creux, remonter, puis descendre et presque disparaître dans l'écume. Pendant quelques instants, on a pu voir ses feux de position, qui brillaient comme deux points lumineux, l'un rouge et l'autre vert, puis plus rien.
Le ballon, propulsé par le vent, qui a maintenant une impulsion de quatre-vingts kilomètres par heure, s'éloigne, laissant tout derrière lui. Aucun navire, aucun croiseur, équipé des machines les plus puissantes ne pouvait rivaliser avec lui.
À trois heures, l'Irlandais, qui tenait à rester éveillé alors que tout danger était désormais écarté, le ciel étant pur et dégagé de tout nuage, signala une lueur vive apparaissant au-dessus de l'océan, vers le nord-est.
"Une île peut-être ?" demande l'ingénieur, qui s'est emparé d'un télescope.
"Une terre ici ? Et impossible, O'Donnell", a répondu Kelly.
"Les Açores ne sont-elles pas sur notre route ?"
"Non : ils sont plus au nord, et puis ils sont encore très loin."
"Est-ce que ça peut être les Canaris, Monsieur Kelly ?"
"Pas même, O'Donnell. Ils sont plus loin que les Açores."
"Ils peuvent être les îles du Cap-Vert."
"Malgré notre course rapide, ils doivent encore être à quelques milliers de kilomètres ou plus ; et puis je pense que l'ouragan nous a poussés vers le sud".
"Mais qu'est-ce que tu crois que c'est alors ?"
"La distance est trop grande, et l'obscurité épaisse, pour discerner quoi que ce soit ; mais je crains que ce soit un incendie".
"Un feu ! Où ?"
"Peut-être d'un vaisseau."
"Par Saint Patrick ! Un bateau qui brûle au milieu de l'ouragan ! Un bateau qui brûle au milieu de l'ouragan ! Quelle situation terrible pour l'équipage !"
"Ça pourrait bien être un volcan, O'Donnell."
"Un volcan au milieu de l'Atlantique ! Qu'en dites-vous, M. Kelly ?"
"Et pourquoi pas, mon ami ?"
"Si vous dites que nous sommes loin de toutes les îles, où voulez-vous que ce volcan soit placé ? Sur les vagues peut-être ?"
"Au fond de l'océan."
"Mais, à ma connaissance, aucun volcan n'a été signalé au milieu de l'Atlantique."
"Eh bien, quelle importance ? N'aurait-elle pas pu se lever à tout moment, peut-être cette nuit ? Pensez-vous que le fond de l'Atlantique est calme ? Non, O'Donnell : elle s'agite souvent sous la pression de feux internes, subit des changements par moments, s'élève ou s'abaisse, et en 1811, elle a même formé une île volcanique près des Açores, au large de St. Michael."
"Une île !"
"Oui, celle appelée Sabrina, qui s'est élevée au-dessus de l'océan de trois cents pieds, mais qui a ensuite été démolie par les vagues. Une autre est également apparue dans ce voisinage après une abondante éruption de vapeurs, de fumée et de feu, lors d'un tremblement de terre ; mais elle a rapidement disparu. "
"Y a-t-il ensuite des îles volcaniques dans cet océan ?"
"Peut-être que les Açores, les Canaries, l'Ascension, Sainte-Hélène et Tristan da Cunha ne sont pas d'origine volcanique ?"
"Même les Bermudes ?"
"Non, O'Donnell : ils ont été formés par des coraux."
"Si, comme vous me le dites, le fond de l'Atlantique subit des modifications et des secousses, on peut accorder du crédit aux auteurs anciens sur la disparition de l'Atlantide."
"Et pourquoi pas ?"
"Mais croyez-vous que ce continent a réellement existé ? Et, tout d'abord, quelle était cette Atlantide dont j'ai vaguement entendu parler ?"
"Une île immense, aussi grande, selon les anciens, que la Libye et l'Asie Mineure réunies, et qui s'étendait de ce côté des piliers d'Hercule, c'est-à-dire du détroit de Gibraltar, et que d'autres îles plus petites réunissaient à un continent.
Tous les auteurs anciens en font mention, ce qui laisse penser qu'elle a réellement existé ou existe encore."
"Que ça existe ? Où sur terre, M. Kelly ?"
"Je te le dirai plus tard. Homère en parle dans son Odyssée, Hésiode dans sa Théogonie, Euripide dans ses pièces, Solon dans la grande épopée qu'il a imaginée, Platon, Strabon et même Pline en ont parlé.
Il semble que les Atlantes soient venus en Méditerranée, poussés par le désir de nouvelles conquêtes, et qu'ils aient tenté de soumettre la Grèce à leur domination, mais ils ont été repoussés par les Athéniens primitifs. Ils envahiraient cependant une partie de la Méditerranée, l'Égypte, l'Afrique du Nord et les côtes de la Tyrrhénie, c'est-à-dire l'Italie actuelle, ainsi que certaines parties du continent opposé.
On dit qu'à cette grande occasion, une puissante lignée de rois régnait et que de nombreuses tribus l'occupaient. Mais à un certain moment, après de violents tremblements de terre et des inondations, l'île fut engloutie avec tous ses habitants. Les Carthaginois font aussi mention d'une île délicieuse : ils avaient en effet décidé d'aller l'occuper, au cas où une catastrophe détruirait leur république."
"Mais de quelle manière a-t-il été englouti ?"
"Plusieurs explications ont été données. Certains pensent qu'elle a été causée par un formidable tremblement de terre ; d'autres, dont Bory de Saint-Vincent et Mantelle, deux éminents scientifiques, pensent qu'elle a été submergée par l'irruption dans l'océan des eaux d'un grand lac salé d'Afrique, peut-être celui du Sahara, qui semblerait être le lit d'une ancienne mer."
"Mais je pense le contraire, O'Donnell ; et je crois que l'Atlantide existe toujours. Cela peut être ou sembler une énormité, mais je crois que les anciens étaient, en matière de connaissances géographiques, très en avance sur les Européens des années 1400 et même 1500. On dit que cette île s'étendait au-delà des piliers d'Hercule et que de nombreuses autres îles plus petites la reliaient à un continent. Eh bien, jetez un coup d'œil à la carte de notre globe. Que voyez-vous à l'ouest de l'Europe ?"
"L'Amérique", a dit O'Donnell, qui était très attentif aux paroles de l'ingénieur.
"Et après ça, l'Amérique ?
"Mais possible !"
"Attends : qu'est-ce que tu vois ?"
"Les innombrables îles de l'océan Pacifique ?"
"Et ensuite ?"
"Le grand continent asiatique et européen !" s'exclame O'Donnell.
"Je conclus donc que l'Atlantide des anciens était l'Amérique actuelle, que les îles qui la joignaient au continent opposé sont celles de l'océan Pacifique, et que ce continent opposé est le continent asiatique-européen, le seul que les anciens Grecs pouvaient connaître."
"Les anciens connaissaient donc la rotondité du globe."
"Oui, O'Donnell : j'en suis convaincu, et j'affirme qu'ils connaissaient mieux notre terre que les Européens des années 1400."
"Mais ces tremblements de terre et ces inondations, ces terres submergées ?"
"Ces tremblements de terre, ce grand cataclysme a pu se produire, il a pu engloutir certaines îles, comme il a pu, en revanche, donner naissance aux Açores et aux Canaries, qui sont, comme je l'ai déjà dit, d'origine volcanique. Qui sait ? Peut-être les anciens navigateurs, effrayés par ce cataclysme, n'ont-ils plus osé s'aventurer au-dessus de l'Atlantique, et l'Amérique s'est retirée dans l'obscurité et a été oubliée jusqu'au moment où Colomb et Cabot et, peu à peu, les autres grands navigateurs l'ont fait connaître à nouveau aux peuples européens." |