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Capitolo 17
Un dramma fra le onde
L’atto generoso ma irriflessivo del bravo irlandese, un vero atto da pazzo, poteva avere conseguenze incalcolabili tanto per gli uomini quanto per l’aerostato e compromettere gravemente quell’audace traversata.
Se l’irlandese avesse pensato, in quel supremo istante, che il Washington, scaricato di quel doppio peso, si sarebbe rapidamente innalzato a grande altezza, abbandonandoli tutt’e due in mezzo all’immenso oceano e rendendo assolutamente impossibile qualunque soccorso da parte dell’ingegnere, forse si sarebbe arrestato.
Quei due uomini, a meno di un miracolo, erano condannati a morire. Presto o tardi, l’Atlantico li avrebbe inghiottiti e trascinati nei suoi immensi baratri. Piombato tra i flutti, trascinato a fondo dal proprio peso e quantunque stordito da quella caduta di oltre trenta metri, O’Donnell con un vigoroso colpo di tallone risalì in superficie. Guardò in aria, non vide che le stelle brillare sul fondo cupo del cielo. Del pallone nessuna traccia!
“Temo di aver commesso una grave pazzia, che forse mi costerà la pelle” mormorò sospirando. “Bah! Infine ero votato alla morte...! Consolato da questa riflessione, si mise a nuotare vigorosamente, girando lo sguardo. A pochi metri scorse qualche cosa di nero che si dibatteva a fior d’acqua.
“Simone!” gridò.
Una risata gli giunse alle orecchie.
“Il bagno non gli ha fatto bene.” disse O’Donnell. “Cerchiamo di salvarlo, poi accadrà quello che dovrà accadere”
L’istinto della conservazione sopravviveva nel pazzo? Bisognava crederlo, poiché quel giovanotto lottava contro l’acqua che cercava di affogarlo. L’irlandese con poche bracciate lo raggiunse e lo afferrò per le ascelle, dicendogli: “Non commettere delle imprudenze, se non vuoi che l’oceano ti inghiotta. Appoggiati alle mie spalle, amico mio: sono robusto e un forte nuotatore, e per qualche tempo potremo reggerci.”
Il pazzo, invece di obbedire, gli sfuggì, si volse rapidamente e lo afferrò per il collo, stringendolo in modo da togliergli il respiro, mentre gli rinserrava le gambe fra le proprie.
“Per mille corna di Belzebù, giù le zampe!” gridò l’irlandese, cercando di sottrarsi a quella terribile stretta. “Vuoi affogarmi?”
“Giù le zampe, Simone!” urlò con voce strozzata. “Giù, o...” La frase gli fu troncata da un’onda che lo coperse, riempiendogli la bocca d’acqua amara e salata. Sprofondò, ma con uno sforzo disperato riuscì a liberare le gambe e a rimontare alla superficie, trascinando seco il pazzo, che non voleva abbandonarlo.
“Lasciami!” rantolò.
Alzò il pugno e percosse quel disgraziato sul viso, ma inutilmente: quelle mani non lo abbandonavano, anzi gli conficcavano le unghie nel collo.
“Ah! Non vuoi lasciarmi?” disse l’irlandese. “Ebbene, muori tu solo!”
Allora, fra quell’oscurità, in mezzo a quelle onde che a volta a volta coprivano i due uomini, s’impegnò una lotta suprema. Il negro resisteva con disperata energia e faceva udire, di tratto in tratto, i suoi scoppi di risa; l’irlandese cercava di liberarsi da quelle strette mortali e lo tempestava di pugni per stordirlo, emettendo grida sempre più rauche, più strozzate. Scendevano, risalivano a galla, si rotolavano fra le onde, si mordevano, urlavano.
O’Donnell, già strozzato per tre quarti, si sentiva venir meno le forze, i suoi occhi non scorgevano più l’avversario se non attraverso una nebbia, e si sentiva trascinare negli abissi misteriosi dell’Atlantico, aperti sotto di lui. Con un supremo sforzo trascinò ancora il negro alla superficie, poi si lasciò andare nuovamente a picco.
A un tratto si sentì urtare bruscamente e quasi strappare l’epidermide da un corpo ruvido, e gli parve di udire, fra le onde che lo inghiottivano, un grido orribile. Quasi subito sentì allentarsi la stretta e si trovò libero. Senza perdere tempo rimontò a galla, girando all'intorno uno sguardo smarrito. A tre passi vide sorgere bruscamente una forma nera, girare su se stessa un istante, poi sparire. Mandò un grido d’orrore: quella forma nera era un tronco umano, che pareva fosse stato tagliato a metà da una gigantesca forbice.
Allora si ricordò dell’urto, dello sfregamento e del grido udito sotto le onde e comprese tutto. Uno squalo aveva tagliato in due il disgraziato Simone.
L’irlandese era coraggioso: lo si è già visto alla prova, ma nel ritrovarsi da solo in mezzo all’oceano, forse spiato dai pesce-cani con dinanzi agli occhi l’orribile fine del negro, credette di impazzire per lo spavento. Rimase parecchi istanti immobile, come istupidito, livido, agghiacciato dal terrore, non osando fare il più lieve movimento per paura di attirare gli squali e raggrinzando le gambe, per timore di sentirsele mozzare da un istante all’altro. Una lontana detonazione, che pareva scendesse dal cielo, lo strappò da quell’immobilità, che a poco a poco lo trascinava sotto le onde. “Mister Kelly...” mormorò.
“Ah! Se sapesse in quale situazione mi trovo...!” Alzò gli occhi e guardò in aria, ma non riuscì a scorgere l’aerostato. Attese alcuni minuti in preda a una tremenda ansietà, poi verso il sud, a una distanza di due miglia vide brillare a grande altezza una striscia luminosa, poi udì un’altra lontana detonazione. “Vi comprendo,” disse, “mi segnalate la vostra direzione, ma non posso rispondervi e nemmeno raggiungervi. A quale altezza si troverà il Washington? Questo doppio capitombolo lo pagheremo forse caro.”
Abbassò gli occhi sul mare, e gli sembrò di vedere qualche cosa di nero agitarsi in mezzo alla spuma di un’onda. “Che cosa può essere?” si chiese. “Che Mister Kelly, nel momento che il pallone si alzava, ci abbia gettato degli oggetti galleggianti? Ho veduto dei salvagente fra le casse della scialuppa. Orsù, non debbo rimanere qui in eterno: se i pesce-cani mi spiano, possono tagliarmi in due anche qui.”
Rabbrividì a quel pensiero, pure si fece animo e si diresse, procurando di non far rumore, verso quell’oggetto che le onde trastullavano. In pochi istanti lo raggiunse e lo ghermì strettamente. “Non mi ero ingannato!” mormorò, respirando più liberamente. “Grazie, Mister Kelly, di aver pensato a me ! “
L'oggetto che aveva afferrato era uno di quei grandi cerchi di sughero, avvolti in tela grossa e robusta e che le navi usano portare attaccati alle murate, per gettarli ai marinai o ai passeggeri che cadono accidentalmente in mare. Sorreggono comodamente una persona per quanto sia pesante, mantenendola a galla anche in mezzo alle più grandi ondate. Ma se l’ingegnere aveva pensato a dare un punto d’appoggio ai due naufraghi, non aveva dimenticato di fornirli di mezzi di difesa contro i formidabili assalti dei mostri marini. Infatti, O’Donnell trovò appesi al salvagente due lunghi e affilati coltelli, due di quei bowie-knives usati dagli americani del Nord.
“Se gli squali vorranno mangiarmi, avranno un osso duro da rodere.” disse l’irlandese, passandosi le armi nella cintola. “Orsù, in viaggio, e cerchiamo di continuare il pallone.” Si passò il salvagente sotto le ascelle e, meravigliosamente sorretto da quell’anello di sughero, si spinse verso il sud, gettando però degli sguardi inquieti sulle acque circostanti e fermandosi di tratto in tratto ad ascoltare se qualche mostro lo seguiva.
Le detonazioni erano cessate, ma ormai sapeva che l’aerostato si trovava verso il sud, e ciò gli bastava. Era certo che in quel momento l’ingegnere stava sacrificando il suo gas per discendere verso la superfìcie dell’oceano.
Aveva percorso circa seicento metri, quando vide verso il sud, ma quasi a fior d’acqua, balenare un lampo, e poco dopo intese una debole detonazione. “To’!” esclamò. “Che vi sia una nave laggiù, o che l’ingegnere sia già disceso?”
Si arrestò, guardando attentamente in quella direzione, e gli parve di distinguere, sul fondo azzurro del cielo, che cominciava a tingersi dei primi riflessi dell’aurora, una massa oscura sospesa a breve distanza dalla superficie dell'oceano. “Dev’essere il Washington” mormorò. “Quale salasso avrà dovuto fare ai palloni Mister Kelly per abbassarsi così presto! Fortunatamente c’è la riserva nei cilindri e la zavorra è ancora abbondante. Dannato polipo! E stato la causa di tutte le nostre disgrazie e della fine orribile del povero Simone. Per mille merluzzi! Sento gelarmi il sangue quando penso a quel tronco umano che ho visto sollevarsi sulle onde e quel...” S’arrestò bruscamente, girando intorno lo sguardo spaurito. Gli era sembrato di sentire un rauco sospiro e un tonfo sordo.
“Qualche pesce-cane?” mormorò battendo i denti. “Che sia destinato anch’io ad avere per tomba lo stomaco di uno squalo? Ventre di balena! C’è da impazzire, anche senza essere paurosi.” Stette in ascolto parecchi minuti, trattenendo perfino il respiro: ma non udì più nulla. Credendo di essersi ingannato, riprese le mosse verso il sud, nella cui direzione cominciava già a scorgere il Washington che pareva ancorato a breve distanza dalla superficie dell’oceano.
L’onda larga, investendolo e coprendolo di spuma, lo stancava, paralizzandogli le forze, che cominciavano ad esaurirsi. Si sentiva le estremità irrigidirsi a poco a poco e provava una grande oppressione al petto, che gli rendeva penoso il respiro. Tuttavia, la paura di venire assalito da qualche torma di squali affamati, lontano dall’aerostato, lo spingeva a tirare innanzi senza prendere riposo.
Il Washington spiccava ora nettamente sul fondo madreperlaceo dell’orizzonte, avvicinandosi rapidamente l’alba, ma pareva che la distanza non scemasse mai. Per maggior disgrazia, la paura invadeva poco a poco il disgraziato irlandese, il quale credeva di udire dietro di sé i rauchi sospiri dei mostri marini e temeva che s’avvicinassero sott’acqua. Allora ripiegava le gambe e si arrestava in preda a un’angoscia indescrivibile, impallidiva come un morto e, malgrado il freddo che quel bagno prolungato gli procurava, si sentiva scendere sulla fronte grosse gocce di sudore.
“Arriverò vivo al Washington o lascerò le mie gambe in quest’oceano?” si chiedeva ad ogni istante, con terribile perplessità. Alle cinque il sole apparve bruscamente sull’orizzonte, inondando l’oceano di raggi abbaglianti. O’Donnell respirò e salutò l’astro con un vero e proprio grido di gioia. “Almeno potrò vedere qualcosa e scorgere forse a tempo gli squali.” disse.
Guardò verso il sud. L’aerostato non era lontano che un miglio, e nella navicella scorgeva l’ingegnere, il quale alzava le braccia come per incoraggiarlo a fare presto. Raddoppiò gli sforzi e avanzò in quella direzione, respirando a grande fatica. Ma, percorsi tre o quattrocento metri, si arrestò con i capelli irti e il viso sconvolto da un’inesprimibile angoscia. A venti passi aveva scorto un punto nerastro emergere dalle onde e poi una larga pinna natatoria, che era subito scomparsa.
“Gran Dio!” esclamò. “Ecco il nemico!”
Abbandonò il salvagente, impugnò il bowie-knife e si tuffò. L’acqua era limpida, e si poteva scorgere, a grande profondità, un pesce di grosse dimensioni. Guardò a destra e a sinistra e vide una grande ombra che pareva s’immergesse venti o trenta metri più lontano. La seguì con gli occhi smarriti finché poté, poi tornò in superficie, aggrappandosi al salvagente. Non vide nulla. Aveva scambiato qualche grosso delfino con uno squalo, o lo squalo non l’aveva ancora visto? Si sa che questi terribili mostri, specialmente i tintoreas ci vedono assai male, e poteva darsi che il mostro che si trovava in quelle acque non avesse scorto la preda umana.
O’Donnell rimase parecchi minuti immobile, con gli orecchi tesi e gli occhi ben aperti, poi si decise a riprendere il faticoso esercizio. Comprendeva che ormai la sua salvezza non dipendeva che dalla sua rapidità, perché lo squalo non avrebbe tardato a scoprirlo. Fece un ultimo e disperato appello alle proprie forze e si spinse innanzi con la maggior velocità possibile, ma procurando, nello stesso tempo, di non far rumore. Alle sei non era che a cento passi dal Washington, il quale si trovava trattenuto dalle due àncore a soli sessanta metri dalla superficie dell’oceano.
L’ingegnere aveva calato le guide- ropes, alle cui estremità pendeva l'ancorotto a patte, che non era stato più staccato dopo l’abbordaggio con la nave dei morti.
“Coraggio, O’Donnell!” gli gridò Kelly. “Ancora uno sforzo e siete salvo.”
“Vengo, Mister Kelly.” rispose l’irlandese che era esausto.
“Ma dov'è Simone? È morto...?”
“Mor...to.” rispose O’Donnell, rabbrividendo.
“Forse che...”
L'ingegnere si era bruscamente interrotto, gettando un grido di terrore.
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Chapitre 17
Un drame dans les vagues
L'acte généreux mais irresponsable du bon Irlandais, un véritable acte de fou, aurait pu avoir des conséquences incalculables tant pour les hommes que pour le ballon et compromettre sérieusement cette audacieuse traversée.
Si l'Irlandais avait pensé, à ce moment suprême, que le Washington, déchargé de ce double poids, allait rapidement s'élever à une grande hauteur, les abandonnant tous deux au milieu de l'immense océan et rendant tout sauvetage par le mécanicien absolument impossible, il se serait peut-être arrêté.
Ces deux hommes, à moins d'un miracle, étaient condamnés à mourir. Tôt ou tard, l'Atlantique les engloutira et les entraînera dans ses immenses gouffres. Plongé dans les vagues, entraîné par son propre poids et assommé par cette chute de plus de trente mètres, O'Donnell, d'un vigoureux coup de talon, remonte à la surface. Il a regardé en l'air, n'a rien vu d'autre que des étoiles brillantes sur le fond sombre du ciel. Aucune trace du ballon !
" Je crains d'avoir commis une grave folie, qui peut me coûter ma peau ", murmura-t-il en soupirant. "Bah ! Finalement, j'étais voué à la mort... ! Consolé par cette réflexion, il a commencé à nager vigoureusement, en tournant son regard. A quelques mètres de là, il aperçoit quelque chose de noir qui se débat dans l'eau.
"Simone !" a-t-il crié.
Un rire a atteint ses oreilles.
"Le bain ne lui a pas fait du bien", a dit O'Donnell. "Essayons de le sauver, puis ce qui doit arriver arrivera."
L'instinct de préservation a-t-il survécu chez le fou ? Il fallait le croire, car le jeune homme se débattait contre l'eau qui tentait de le noyer. En quelques coups, l'Irlandais l'atteint et le saisit par les aisselles en lui disant : "Ne commets pas d'imprudence si tu ne veux pas que l'océan t'avale. Appuyez-vous sur mes épaules, mon ami : je suis robuste et un bon nageur, et pendant un certain temps, nous pouvons tenir bon. "
Le fou, au lieu d'obéir, lui échappa, se retourna rapidement et le saisit par le cou, le serrant si fort qu'il en eut le souffle coupé, tandis qu'il repliait ses jambes entre les siennes.
"Par les mille cornes de Belzébuth, enlevez vos pattes !" s'écria l'Irlandais en essayant de se dégager de cette terrible prise. "Tu veux me noyer ?"
"Baisse les pattes, Simone !" a-t-il crié d'une voix étranglée. "En bas, ou..." Sa phrase fut coupée par une vague qui le recouvrit, remplissant sa bouche d'eau amère et salée. Il coule, mais dans un effort désespéré, il parvient à libérer ses jambes et à remonter à la surface, entraînant avec lui le fou qui ne veut pas le quitter.
"Lâchez-moi !", a-t-il haleté.
Il leva le poing et frappa le malheureux au visage, mais en vain : ces mains ne voulaient pas le quitter, elles enfonçaient plutôt leurs ongles dans son cou.
"Ah ! Vous ne voulez pas me laisser ?" dit l'Irlandais. "Eh bien, meurs seul !"
Alors, au milieu de cette obscurité, au milieu de ces vagues qui de temps en temps couvraient les deux hommes, une lutte suprême eut lieu. Le nègre résistait avec une énergie désespérée et faisait entendre de temps en temps ses éclats de rire ; l'Irlandais essayait de se dégager de ces saisies mortelles et l'assaillait de ses poings pour l'assommer, en émettant des cris toujours plus rauques, toujours plus étranglés. Ils sont descendus, ont fait surface, se sont roulés dans les vagues, se sont mordus, ont crié.
O'Donnell, déjà aux trois quarts étouffé, sentait ses forces diminuer, ses yeux ne voyaient plus son adversaire qu'à travers une brume, et il se sentait entraîné dans les profondeurs mystérieuses de l'Atlantique, ouvertes sous lui. Dans un effort suprême, il tire à nouveau le nègre à la surface, puis se laisse à nouveau couler.
Soudain, il se sentit brusquement heurté et presque arraché à un corps rugueux, et il lui sembla entendre, parmi les vagues qui l'engloutissaient, un cri horrible. Presque immédiatement, il a senti la prise se relâcher et il s'est retrouvé libre. Sans perdre de temps, il refit surface, tournant un regard ahuri autour de lui. A trois pas, il a vu une forme noire se lever brusquement, se replier sur elle-même un instant, puis disparaître. Il a poussé un cri d'horreur : cette forme noire était un torse humain, qui semblait avoir été coupé en deux par un gigantesque ciseau.
Puis il s'est souvenu de l'impact, du frottement et du cri entendu sous les vagues et a tout compris. Un requin avait coupé le malheureux Simon en deux.
L'Irlandais était courageux : nous l'avons déjà vu à l'épreuve, mais en se retrouvant seul au milieu de l'océan, peut-être épié par le chien-poisson avec l'horrible fin du nègre sous les yeux, il pensa devenir fou de peur. Il est resté immobile pendant plusieurs instants, comme stupéfait, livide, glacé de terreur, n'osant pas faire le moindre mouvement de peur d'attirer les requins et plissant les jambes de peur de les sentir coupées à tout moment. Une détonation lointaine, qui semblait descendre du ciel, l'arracha à cette immobilité qui l'entraînait progressivement sous les flots. "M. Kelly...", a-t-il murmuré.
"Ah ! Si tu savais la situation dans laquelle je suis... !" Il leva les yeux et regarda dans l'air, mais ne put distinguer le ballon. Il attendit quelques minutes dans une angoisse immense, puis vers le sud, à une distance de deux miles, il vit une traînée brillante qui brillait à une grande hauteur, puis il entendit une autre détonation lointaine. "Je vous comprends, dit-il, vous signalez votre direction, mais je ne peux pas vous répondre ni même vous joindre. A quelle hauteur sera le Washington ? Cette double culbute, nous pourrions la payer cher."
Il baissa les yeux vers la mer, et il lui sembla voir quelque chose de noir s'agiter au milieu de l'écume d'une vague. "Qu'est-ce que ça peut être ?" s'est-il demandé. "Que Mister Kelly, au moment où le ballon s'élevait, a jeté des objets flottants à l'intérieur ? J'ai vu des bouées de sauvetage parmi les caisses du canot de sauvetage. Allons, je ne dois pas rester ici pour toujours : si les chiens-poissons m'espionnent, ils peuvent me couper en deux ici aussi. "
Il frissonna à cette pensée, mais il prit courage et se dirigea, en prenant soin de ne pas faire de bruit, vers l'objet que les vagues tiraient. En quelques instants, il l'atteignit et la saisit fermement. "Je n'ai pas été dupé !" murmura-t-il, respirant plus librement. "Merci, Monsieur Kelly, d'avoir pensé à moi ! "
L'objet qu'il avait saisi était un de ces grands cerceaux de liège, enveloppés dans une toile épaisse et solide et utilisés par les navires pour être attachés aux pavois, afin de les lancer aux marins ou aux passagers qui tombent accidentellement par-dessus bord. Ils soutiennent confortablement une personne, quel que soit son poids, et la maintiennent à flot même au milieu des plus grosses vagues. Mais si l'ingénieur avait pensé à donner un point d'appui aux deux naufragés, il n'avait pas oublié de leur fournir des moyens de défense contre les redoutables assauts des monstres marins. En fait, O'Donnell a trouvé accrochés à la bouée de sauvetage deux couteaux longs et tranchants, deux de ces couteaux bowie utilisés par les Nord-Américains.
"Si les requins veulent me manger, ils auront un os dur à ronger", a déclaré l'Irlandais, en rangeant ses armes dans sa ceinture. "Maintenant, allons-y, et continuons le bal." Il passa sa ceinture de sauvetage sous ses aisselles et, merveilleusement soutenu par cet anneau de liège, poussa vers le sud, jetant des regards inquiets sur les eaux environnantes et s'arrêtant de temps en temps pour écouter si des monstres le suivaient.
Les détonations avaient cessé, mais il savait maintenant que le ballon se dirigeait vers le sud, et cela lui suffisait. Il était certain qu'à cet instant, l'ingénieur sacrifiait son gaz pour descendre vers la surface de l'océan.
Il avait parcouru environ six cents mètres quand il a vu vers le sud, mais presque au bord de l'eau, un éclair de flash, et peu après il a entendu une faible détonation. "A' !" s'est-il exclamé. "Qu'il y a un vaisseau en bas, ou que l'ingénieur est déjà descendu ?"
Il s'arrêta, regardant attentivement dans cette direction, et il lui sembla distinguer, sur le fond bleu du ciel, qui commençait à se teinter des premiers reflets des aurores, une masse sombre suspendue à peu de distance de la surface de l'océan. "Ça doit être le Washington", a-t-il murmuré. "Quelle saignée Mister Kelly a dû faire aux ballons pour descendre si vite !". Heureusement, il y a de la réserve dans les cylindres et il y a encore beaucoup de lest. Saleté de pieuvre ! C'était la cause de tous nos malheurs et de la fin horrible de la pauvre Simone. Par mille morues ! Je sens mon sang se glacer quand je pense à ce tronc humain que j'ai vu s'élever au-dessus des vagues et que..." Il s'est arrêté brusquement, tournant autour de lui son regard déconcerté. Il a cru entendre un soupir rauque et un bruit sourd.
"Un poisson-chien ?", a-t-il marmonné en claquant des dents. Que moi aussi je suis destiné à avoir pour tombeau l'estomac d'un requin ? Ventre de baleine ! C'est exaspérant, même sans être effrayant." Il a écouté pendant plusieurs minutes, retenant même sa respiration, mais n'a rien entendu de plus. Croyant s'être trompé, il reprit ses mouvements vers le sud, direction dans laquelle il commençait déjà à apercevoir le Washington, qui semblait ancré à peu de distance de la surface de l'océan.
La grande vague, qui le balaie et le recouvre d'écume, le fatigue, paralysant ses forces qui commencent à s'épuiser. Il a senti ses extrémités se raidir peu à peu et a ressenti une grande oppression dans sa poitrine, ce qui a rendu sa respiration douloureuse. Cependant, la peur d'être attaqué par quelque tourmente de requins affamés, loin de l'aérostat, le pousse à avancer sans prendre de repos.
Le Washington se détachait maintenant nettement du fond nacré de l'horizon, l'aube approchait rapidement, mais la distance ne semblait jamais s'estomper. Pour son malheur, la peur envahit peu à peu le malheureux Irlandais, qui croit entendre les soupirs rauques des monstres marins derrière lui et craint qu'ils ne s'approchent sous l'eau. Puis il replia ses jambes et s'arrêta dans une angoisse indescriptible, pâlit comme un mort, et, malgré le froid que lui causait un bain prolongé, il sentit de grosses gouttes de sueur rouler sur son front.
"Arriverai-je à Washington vivant ou laisserai-je mes jambes dans cet océan ?" se demandait-il à chaque instant avec une terrible perplexité. À cinq heures, le soleil apparaît brusquement à l'horizon, inondant l'océan de rayons éblouissants. O'Donnell a respiré et a salué la star avec un véritable cri de joie. "Au moins, je pourrai voir quelque chose et peut-être apercevoir les requins à temps", a-t-il déclaré.
Il a regardé vers le sud. L'aérostat n'était plus qu'à un kilomètre et, dans le vaisseau, il pouvait voir l'ingénieur qui levait les bras comme pour l'encourager à se dépêcher. Il redouble d'efforts et avance dans cette direction, en respirant fort. Mais, après trois ou quatre cents mètres, il s'est arrêté, les cheveux hérissés et le visage convulsé par une angoisse inexprimable. À vingt pas de là, il a vu une tache noirâtre émerger des vagues, puis une grande nageoire, qui a aussitôt disparu.
"Grand Dieu !" s'est-il exclamé. "Voilà l'ennemi !"
Il a abandonné son gilet de sauvetage, a attrapé son couteau bowie et a plongé. L'eau était claire, et on pouvait voir un gros poisson à grande profondeur. Il a regardé à gauche et à droite et a vu une grande ombre qui semblait plonger vingt ou trente mètres plus loin. Il l'a suivi d'un œil ahuri aussi loin qu'il a pu, puis est remonté à la surface, s'accrochant à son gilet de sauvetage. Il n'a rien vu. Avait-elle confondu un gros dauphin avec un requin, ou n'avait-elle pas encore vu le requin ? Ces terribles monstres, notamment les tintoreas, sont connus pour voir très mal, et il se pourrait que le monstre dans ces eaux n'ait pas repéré de proie humaine.
O'Donnell est resté immobile pendant plusieurs minutes, les oreilles tendues et les yeux grands ouverts, puis a décidé de reprendre l'exercice épuisant. Il a compris que sa sécurité ne dépendait plus que de sa vitesse, car le requin ne tarderait pas à le découvrir. Il fait un dernier appel désespéré à ses forces et avance aussi vite qu'il le peut, tout en essayant de ne pas faire de bruit. À six heures, il n'est plus qu'à cent pas du Washington, retenu par les deux ancres à soixante mètres seulement de la surface de l'océan.
Le mécanicien avait descendu les cordages de guidage, aux extrémités desquels pendait l'ancre à clapet, qui n'avait pas été détachée depuis l'embarquement avec le navire des morts.
"Courage, O'Donnell !" lui a crié Kelly. "Encore un effort et vous êtes en sécurité."
"J'arrive, Monsieur Kelly." répondit l'Irlandais, qui était épuisé.
"Mais où est Simone ? Il est mort... ?"
"Mor...to." répondit O'Donnell en frissonnant.
"Peut-être que..."
L'ingénieur s'était brusquement interrompu, laissant échapper un cri de terreur.
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