365MB
365MB

1
| 2 | 3 | 4 | 5 | 6 | 7 | 8 | 9 | 10 | 11 | 12 | 13 | 14 | 15 | 16 | 17 | 18 | 19 | 20 | 21 | 22 | 23 | 24 | 25 | 26 | 27

 

Capitolo 21

Madera

Se la corrente che li spingeva ora con grande celerità verso nord-nord-est si manteneva costante, gli aeronauti, dopo tante pericolose avventure passate in quei pochi giorni dacché erravano sopra l’immenso oceano, potevano ancora sperare di raggiungere le coste europee e di sfuggire alla grande corrente dei venti alisei, che scende lungo le coste africane, piegando verso le coste americane all'altezza del Tropico del Cancro. Con una rapida marcia di quarantotto ore e fors’anche meno potevano attraversare la distanza che li separava dal primo parallelo europeo, che taglia dritto le colonne d’Ercole o meglio lo Stretto di Gibilterra. Per un vascello, forse pure dotato d’una macchina a vapore di grande forza, sarebbe stata una pazzia quella speranza, ma con il loro aerostato, che procedeva con la velocità del vento, quello spazio ancora immenso era cosa da poco. Bastava che quella velocità di quarantadue chilometri non diminuisse. Il Washington però, perdeva continuamente gas e non si manteneva a quell’altezza di 3000 metri che a grande fatica. Di quando in quando faceva delle brusche cadute, quantunque da poche ore fosse stato alleggerito di altri cinquanta chilogrammi di zavorra, e penava assai a riprendere il livello iniziale. Le estremità dei due fusi cominciavano a disegnare delle pieghe, che diventavano di ora in ora più considerevoli. E bensì vero che gli aeronauti possedevano trecentocinquanta chilogrammi di zavorra e trecento metri cubi di idrogeno, immagazzinati nei cilindri, tuttavia erano inquieti, perché il vento poteva improvvisamente cambiare ancora direzione e respingerli nell’Atlantico.
Alle quattro pomeridiane l’ingegnere vedendo che il Washington pur continuando la sua rapida marcia, scendeva a vista d’occhio, temendo che sotto quella corrente favorevole soffiassero gli alisei, si decise a rinvigorire i palloni, introducendo nelle loro manichette cinquanta metri cubi di idrogeno ciascuno. Quell’operazione, oltre a far sparire le pieghe, contribuì ad accelerare la marcia, poiché essendo l’aerostato salito a 3000 metri, aveva acquistato una maggiore velocità, dato che la corrente a quella considerevole altezza è più forte.
Verso le otto, un’ora prima che il sole tramontasse, l’ingegnere segnalava un gruppo di isole, che spiccava nettamente sul fondo ceruleo dell’oceano. Quelle isole erano il gruppo di Madera, diventato così celebre per la squisitezza dei suoi vini, che godono di una fama mondiale. Si compone di due terre: Madera propriamente detta, lunga 58 chilometri e larga 22, con i 161.000 abitanti, oriundi per la maggior parte portoghesi, con Funchal, capoluogo, popolata da 25.000 anime, situata sulla costa meridionale, e Porto Santo. Le altre sono semplici scogliere e si chiamano Desertas. Là si gode un’eterna primavera, e molti sono gli ammalati, specialmente i tisici, che vi si recano. Malgrado siano di natura vulcanica e l’acqua scarseggi, sono assai fertili e, oltre al vino, producono in abbondanza biade, patate, canna da zucchero, ma questi prodotti a poco a poco vengono abbandonati, essendo meno remunerativi delle viti. Danno altresì castagne del legno detto sangue di drago, e aranci, e l’oceano che le circonda è ricco di pesci, specialmente sardine, che si prendono in grande quantità.
La scoperta di queste isole, quantunque così vicine alle coste africane ed europee, si deve puramente al caso. È probabile che gli antichi fenici e i Cartaginesi, che visitarono le Canarie, le abbiano vedute molti e molti secoli prima, ma al pari di queste ultime rimasero ignote fino al 1344. Fu in quell’epoca che Roberto Macham, gentiluomo inglese, fu spinto dai venti sulle spiagge di Madera, mentre fuggiva su di una nave con alcuni amici e la figlia del duca di Dorset, che dal padre era stata costretta a sposare forzatamente un alto dignitario del regno, mentre essa aveva giurato eterno amore al giovane gentiluomo. La notizia della scoperta venne recata in Europa dai compagni di Macham, dopo che questi e la sua amante erano morti.
Gli aeronauti, senza bisogno di cannocchiali, distinguevano nettamente le due isole maggiori e le altre minori, essendo l’orizzonte limpidissimo. Quantunque fossero lontani oltre ottanta miglia, l’ingegnere additò ai suoi compagni il monte Ruino, che è il più elevato di tutti.
“È laggiù che si raccoglie quel vino squisito, Mister Kelly?” chiese l’irlandese.
“Sì, amico mio.”
“Ne producono molto quelle isole?”
“Quando le annate sono buone, quei vigneti danno circa 5000 pipe(), ossia 2.685.000 litri. Nel 1852 quelle isole corsero il pericolo di perdere interamente i loro raccolti a causa della comparsa dell’oidium tuckeri, ma gli abitanti vi posero riparo piantando i vitigni americani.”
“Richiede delle cure speciali quel vino per riuscire così squisito?”
“Quasi nessuna, O’Donnell. Basta esporlo per qualche tempo a un’alta temperatura per renderlo più delizioso, e aggiungervi poi una certa dose di alcool, circa dieci litri in ogni pipa. Anticamente anzi, perché prendesse meglio il caldo, che non dev’essere inferiore ai 50°, s’imbarcavano le botti piene di madera e si trasportavano al di là dell’equatore, e su quelle botti gli inglesi, che hanno sempre esercitato l’esportazione di quel prezioso nettare, applicavano un cartellino su cui era scritto: “Twice passed the line” per indicare che aveva passato due volte la linea dell’equatore e che quindi era perfettamente stagionato.”
“Che sia il terreno che rende così buono quel vino?”
Così deve essere, e pare che la sua fertilità derivi da un terribile incendio che durò sette anni.”
“Ma chi lo accese?”
“I primi navigatori portoghesi: Zarco, Fechevra e Pestrello, per distruggere i grandi boschi che coprivano Madera. Quelle ceneri bastarono per concimare immensamente quei terreni.”
“E a chi venne in mente di piantare delle viti su quelle isole?”
“Ai portoghesi, che piantarono nel 1425 alcune talee fatte venire dall’isola di Cipro. In seguito ne piantarono altre di specie diversa, ottenendo così parecchi tipi di vino.”
“Ma non sono molti anni che questi vini sono diventati celebri.”
“Tutt’altro, caro amico. Fin dal 1445 il navigatore veneziano Ca’da Mosto li fece conoscere, vantandone le squisitezze, e Francesco I, re di Francia, che fu il primo che lo bevette in Europa e confermò la sua straordinaria bontà, rendendolo di colpo famoso.”
In quell’istante l’aerostato virò bruscamente di bordo, descrivendo mezzo giro su se stesso e imprimendo alla navicella un largo dondolìo.
“Cadiamo?” chiesero O’Donnell e il mozzo.
“No,” rispose l’ingegnere; “ma...”
“Cambia la corrente?”
L’ingegnere rispose con un gesto disperato. Si precipitò verso la bussola e impallidì. “Torniamo al sud!” esclamò con voce sorda.
“Al sud!” esclamò O’Donnell. “Si è rotta la corrente?”
“Peggio ancora.”
“Che avviene dunque?”
“Una cosa assai grave: i venti alisei ci hanno afferrato e ci respingono nell’Atlantico!”
“Per centomila corna di cervo!... Siamo perseguitati dal destino?”
Per parecchi minuti un cupo silenzio regnò sull’aerostato, che il vento trascinava con grande rapidità verso le regioni equatoriali. L’ingegnere e l’irlandese si sentivano vinti e si chiedevano con angoscia quale sorte doveva a loro serbare il destino, che pareva avesse giurato la loro perdita, dopo aver fatto balenare in loro la speranza di condurli verso le coste europee.
Se non sopraggiungeva un miracolo, la loro situazione si poteva considerare disperata. La grande corrente degli alisei, che fino ad allora avevano cercato di evitare, non li avrebbe più lasciati, e doveva respingerli in mezzo all’Atlantico, per poi gettarli sulle lontane coste dell’America centrale e forse su quelle del continente meridionale. Si sarebbero mantenuti in aria tanto tempo da riattraversare l’oceano? Non era possibile, coi mezzi limitati che ormai possedevano. Una caduta in mezzo all’Atlantico ora sembrava inevitabile, e quale disastro allora, privi quasi di acqua come erano!
L’ingegnere vinto dalla tristezza che lo invadeva, si era lasciato cadere a prora della scialuppa, con la testa stretta fra le mani; O’Donnell gettava sguardi disperati alle isole che sparivano a poco a poco fra le tenebre calanti rapidamente come un branco di corvi; il solo Walter, il povero mozzo raccolto morente sull’oceano, era tranquillo e pareva chiedersi il motivo della disperazione che accasciava i suoi salvatori.
“Mister O’Donnell,” mormorò timidamente, “è forse il peso della mia persona che ha prodotto il cambiamento di direzione dell’aerostato?”
“No, povero ragazzo,” disse l’irlandese, sforzandosi di sorridere. “È il vento che, invece di avvicinarci alle coste africane o europee, ci trascina verso l’America.”
“Non possiamo fermarci, gettando l’ancora, e attendere un vento più favorevole?”
“A quest’altezza è impossibile, Walter. Tutte le nostre funi riunite non giungerebbero a toccare la superficie dell'oceano. Più tardi, quando l’idrogeno si sarà condensato, cercheremo di fermarci.”
“Volete che annodi le funi?”
“Sì,” disse l’ingegnere scuotendosi. “Bisogna fermarci e non lasciarci trascinare in mezzo all’Atlantico.”
“Sperate in un cambiamento di vento, Mister Kelly?” chiese O’Donnell.
“Spero in un uragano.”
“Segna una vicina perturbazione il barometro?”
“L’ho notato stamane.”
“E romperà la grande corrente?”
“Lo spero, O’Donnell: se non sulla superficie dell’oceano, forse in alto, a tremila, quattromila, a seimila metri, o più sopra.”
“Possiamo abbassarci subito e gettare le àncore, sacrificando un po’ di gas?”
“Ora? Sarebbe un’imprudenza, amico mio, perdere dell’idrogeno, mentre forse il vento ci spingerà attraverso l’Atlantico invece di portarci verso l’Africa. Voglio conservare tutte le forze del Washington per cercare in alto una nuova corrente.”
“Ma scendiamo al sud con grande rapidità, Mister Kelly.”
“Non importa: l’Africa l’abbiamo alla nostra sinistra e per lungo tempo non l’abbandoneremo. Che approdiamo qui o più al sud, sulle coste del Sahara o della Senegambia o della Sierra Leone, cosa importa, ora che l’Europa ci sfugge? Quando il Washington si abbasserà, getteremo le àncore e attenderemo la burrasca per innalzarci più che potremo.”
“E se quell’uragano ci spingesse invece all’ovest?”
“Siamo nelle mani di Dio: accadrà ciò che Egli vorrà.”
“Ritenete che il Washington non possieda forze sufficienti per riattraversare l’Atlantico?”
“Lo dubito, O’Donnell. È vero che i venti, durante gli uragani, acquistano delle rapidità incredibili e che sole 1500 miglia separano le coste della Sierra Leone e il capo brasiliano di San Rocco, ma i nostri mezzi sono ormai scarsi, e cadremmo in mezzo all’oceano, a meno che qualche nave non ci raccogliesse.”
“To’! E i nostri amici, li abbiamo dimenticati? Chissà che non ci cerchino a quest’ora, se i piccioni messaggeri sono giunti all’Isola Brettone.
“Magra speranza, O’Donnell. L’Atlantico è immenso e i miei amici non possono sapere dove il vento ci ha spinto. Non dobbiamo contare che sulle nostre forze.”
“Ma mi sembra, Mister Kelly, che il nostro idrogeno si condensi molto lentamente questa sera. perché non abbiamo ancora cominciato la discesa.”
“Ci troviamo in una corrente d’aria assai calda, e il nostro Washington è stato rinvigorito poche ore fa, ma cadremo, O’Donnell, ve lo assicuro. Intanto annodiamo tutte le funi disponibili e prepariamoci a calare i nostri coni.”
Il Washington come aveva giustamente notato O’Donnell, non accennava a scendere, quantunque la temperatura si fosse abbassata di alcuni gradi. Si manteneva ancora a 2500 metri di altezza, filando verso il sud con una rapidità di ben sessantadue chilometri all’ora. Se quel vento non rallentava, il Washington doveva perdere l’intero vantaggio acquistato durante la giornata e ritrovarsi nei paraggi delle Canarie, che aveva lasciato verso le undici del mattino. Alle dieci però la discesa dell'aerostato cominciò, ma era assai lenta. Calava in ragione di trecento o trecentocinquanta metri all’ora, mentre invece la rapidità del vento aumentava. A mezzanotte l’ingegnere segnalò ai suoi compagni un punto luminoso, che si scorgeva verso l’est.
“Una nave?” chiese O’Donnell.
“No,” rispose Mister Kelly, che aveva puntato un cannocchiale in quella direzione. “È un bagliore lampeggiante, sarà il faro di Teneriffa o dell’isola del Ferro.”
“Di già alle Canarie? E la corsa aumenta!”
Alle tre del mattino l’aerostato si trovava a soli duecento metri dalla superficie dell’oceano. L’ingegnere fece gettare i due coni, che si riempirono subito d’acqua, immobilizzando il vascello aereo.
“Riposiamo,” disse poi. “Non corriamo alcun pericolo.”
I tre aeronauti, che avevano vegliato fino ad allora e che cadevano dal sonno, si coricarono sui loro materassi e si addormentarono profondamente, cullati dolcemente dalla grande corrente degli alisei.

 

 Chapitre 21

Madère

Si le courant qui les poussait maintenant avec une grande célérité vers le nord-nord-est restait constant, les aéronautes, après tant d'aventures périlleuses depuis quelques jours qu'ils erraient sur l'immense océan, pouvaient encore espérer atteindre les côtes européennes et échapper au grand courant des alizés, qui descend le long des côtes africaines, en s'infléchissant vers les côtes américaines à la hauteur du tropique du Cancer. Avec une marche rapide de quarante-huit heures et peut-être même moins, ils pourraient franchir la distance qui les sépare du premier parallèle européen, qui coupe directement les piliers d'Hercule ou plutôt le détroit de Gibraltar. Pour un navire, peut-être même équipé d'une machine à vapeur de grande puissance, cet espoir aurait été une folie, mais avec leur aérostat, qui avançait à la vitesse du vent, cet espace encore immense était une petite affaire. Il suffisait que cette vitesse de quarante-deux kilomètres ne diminue pas.
Le Washington, cependant, perdait constamment du gaz et ne pouvait se maintenir à cette hauteur de 3 000 mètres qu'avec beaucoup de difficultés. De temps en temps, il faisait des chutes brutales, alors qu'il avait été allégé de cinquante kilos de lest supplémentaires il y a quelques heures, et il était très difficile de retrouver son niveau initial. Les extrémités des deux fuseaux commençaient à dessiner des plis, qui devenaient plus considérables d'heure en heure. Même s'il est vrai que les aéronautes disposent de trois cent cinquante kilogrammes de lest et de trois cents mètres cubes d'hydrogène stockés dans les cylindres, ils sont agités, car le vent peut soudainement changer de direction et les repousser dans l'Atlantique.
A quatre heures de l'après-midi, l'ingénieur, voyant que le Washington, tout en continuant sa marche rapide, descendait à vive allure, craignant que les alizés ne soufflent sous ce courant favorable, décida de revigorer les ballons en introduisant cinquante mètres cubes d'hydrogène chacun dans leurs tuyaux. Cette opération, en plus de faire disparaître les plis, a contribué à accélérer la marche, car le ballon s'étant élevé à 3 000 mètres, il a acquis une plus grande vitesse, le courant étant plus fort à cette hauteur considérable.
Vers huit heures, une heure avant le coucher du soleil, l'ingénieur a pointé du doigt un groupe d'îles qui se détachaient nettement sur le fond céruléen de l'océan. Ces îles étaient le groupe de Madère, qui est devenu si célèbre pour l'exquisité de ses vins, qui jouissent d'une renommée mondiale. Elle se compose de deux terres : Madère proprement dite, longue de 58 kilomètres et large de 22, avec ses 161 000 habitants, pour la plupart d'origine portugaise, dont Funchal, la capitale, peuplée de 25 000 âmes, située sur la côte sud, et Porto Santo. Les autres sont de simples falaises et sont appelées Desertas.
On y jouit d'un printemps éternel, et nombreux sont les malades, surtout ceux atteints de tuberculose, qui s'y rendent. Bien qu'elles soient de nature volcanique et que l'eau soit rare, elles sont très fertiles et, outre le vin, elles produisent en abondance des céréales, des pommes de terre et de la canne à sucre, mais ces produits sont progressivement abandonnés, étant moins rentables que la vigne. Ils donnent aussi des châtaignes du bois appelé sang de dragon, et des orangers, et l'océan qui les entoure est riche en poissons, notamment en sardines, qui sont pêchées en grande quantité.
La découverte de ces îles, pourtant si proches des côtes africaines et européennes, est le fruit du hasard. Il est probable que les anciens Phéniciens et Carthaginois, qui ont visité les Canaries, les avaient vus bien des siècles auparavant, mais comme eux, ils sont restés inconnus jusqu'en 1344. C'est à cette époque que Robert Macham, un gentleman anglais, a été emporté par les vents sur les plages de Madère, alors qu'il fuyait sur un bateau avec quelques amis et la fille du duc de Dorset, qui avait été forcée par son père à épouser un haut dignitaire du royaume, alors qu'elle avait juré un amour éternel au jeune gentleman. La nouvelle de la découverte a été rapportée en Europe par les compagnons de Macham, après la mort de ce dernier et de sa maîtresse.
Gli aeronauti, senza bisogno di cannocchiali, distinguevano nettamente le due isole maggiori e le altre minori, essendo l’orizzonte limpidissimo. Quantunque fossero lontani oltre ottanta miglia, l’ingegnere additò ai suoi compagni il monte Ruino, che è il più elevato di tutti.
“È laggiù che si raccoglie quel vino squisito, Mister Kelly?” chiese l’irlandese.
“Sì, amico mio.”
“Ne producono molto quelle isole?”
“Quando le annate sono buone, quei vigneti danno circa 5000 pipe(), ossia 2.685.000 litri. Nel 1852 quelle isole corsero il pericolo di perdere interamente i loro raccolti a causa della comparsa dell’oidium tuckeri, ma gli abitanti vi posero riparo piantando i vitigni americani.”
“Richiede delle cure speciali quel vino per riuscire così squisito?”
"Presque aucun, O'Donnell. Il suffit de l'exposer pendant un certain temps à une température élevée pour le rendre plus délicieux, puis d'ajouter une certaine dose d'alcool, environ dix litres dans chaque pipe. Dans les temps anciens, en effet, pour qu'il supporte mieux la chaleur, qui ne doit pas être inférieure à 50°, des fûts pleins de madère étaient embarqués et transportés au-delà de l'équateur, et sur ces fûts les Anglais, qui ont toujours pratiqué l'exportation de ce précieux nectar, apposaient une étiquette sur laquelle était écrit : "Twice passed the line" pour indiquer qu'il avait passé deux fois la ligne de l'équateur et était donc parfaitement mûr."
"Serait-ce le sol qui rend ce vin si bon ?"
Il doit en être ainsi, et il semble que sa fertilité provienne d'un terrible incendie qui a duré sept ans."
"Mais qui l'a allumé ?"
" Les premiers navigateurs portugais : Zarco, Fechevra et Pestrello, pour détruire les grandes forêts qui couvraient Madère. Ces cendres étaient suffisantes pour fertiliser énormément ces terres."
"Et qui a eu l'idée de planter des vignes sur ces îles ?"
"Aux Portugais, qui ont planté en 1425 des boutures apportées de l'île de Chypre. Plus tard, ils en ont planté d'autres d'espèces différentes, obtenant ainsi plusieurs types de vin."
"Mais cela ne fait pas beaucoup d'années que ces vins sont devenus célèbres."
"Loin de là, cher ami. Dès 1445, le navigateur vénitien Ca'da Mosto les faisait connaître, vantant leur exquisité, et François Ier, roi de France, fut le premier à en boire en Europe et confirma son extraordinaire bonté, ce qui le rendit soudainement célèbre."
À cet instant, l'aérostat a tourné brusquement, décrivant un demi-tour sur lui-même et donnant au vaisseau un large mouvement de balancier.
"Est-ce qu'on tombe ?" ont demandé O'Donnell et le matelot.
"Non," répondit l'ingénieur ; "mais..."
"Est-ce que ça change le courant ?"
L'ingénieur a répondu par un geste désespéré. Il se précipite vers la boussole et pâlit. "Retour au sud !" s'exclame-t-il d'une voix sourde.
"Au sud !" s'exclame O'Donnell. "Le courant est coupé ?"
"Pire que ça."
"Et ensuite ?"
"Une chose très grave : les alizés nous ont saisis et nous repoussent dans l'Atlantique !".
"Par une centaine de milliers de bois de cerf ... Sommes-nous hantés par le destin ?"
Pendant plusieurs minutes, un silence lugubre a régné sur l'aérostat, que le vent a entraîné à grande vitesse vers les régions équatoriales. L'ingénieur et l'Irlandais se sentaient vaincus et se demandaient avec anxiété ce que leur réservait le destin, qui semblait avoir juré leur perte, après leur avoir donné l'espoir de les conduire sur les côtes de l'Europe.
Si un miracle ne se produisait pas, leur situation pourrait être considérée comme désespérée. Le grand courant d'alizé, qu'ils avaient jusqu'alors tenté d'éviter, ne les quitterait plus et ne manquerait pas de les repousser au milieu de l'Atlantique, puis de les projeter sur les côtes lointaines de l'Amérique centrale et peut-être celles du continent austral. Resteraient-ils dans les airs assez longtemps pour retraverser l'océan ? Ce n'était pas possible avec les moyens limités dont ils disposaient. Une chute au milieu de l'Atlantique semblait maintenant inévitable, et quel désastre alors, avec presque pas d'eau comme ils étaient !
Le mécanicien, vaincu par la tristesse qui l'envahissait, s'était laissé tomber à la proue du canot de sauvetage, la tête serrée dans ses mains ; O'Donnell jetait des regards désespérés sur les îles qui disparaissaient peu à peu dans l'obscurité rapidement décroissante comme une bande de corbeaux ; seul Walter, le pauvre matelot ramassé mourant sur l'océan, était calme et semblait s'étonner de la raison du désespoir qui écrasait ses sauveteurs.
"Monsieur O'Donnell", murmura-t-il timidement, "est-ce peut-être le poids de ma personne qui a produit le changement de direction de l'aérostat ?".
"Non, pauvre garçon", dit l'Irlandais en s'efforçant de sourire. "C'est le vent qui, au lieu de nous rapprocher des côtes d'Afrique ou d'Europe, nous entraîne vers l'Amérique".
"On ne peut pas s'arrêter, jeter l'ancre et attendre un vent plus favorable ?"
"A cette hauteur, c'est impossible, Walter. Toutes nos cordes ensemble n'atteindraient pas la surface de l'océan. Plus tard, quand l'hydrogène se sera condensé, nous essaierons de l'arrêter."
"Tu veux que je noue les cordes ?"
"Oui", dit l'ingénieur en se secouant. "Nous devons nous arrêter et ne pas nous laisser entraîner au milieu de l'Atlantique."
"Vous espérez un changement de vent, Mr Kelly ?" a demandé O'Donnell.
"J'espère un ouragan."
"Le baromètre indique-t-il une perturbation à proximité ?"
"Je l'ai remarqué ce matin."
"Et cela brisera-t-il le grand courant ?"
"Je l'espère, O'Donnell : si ce n'est pas à la surface de l'océan, peut-être en haut, à trois mille, quatre mille, six mille pieds ou plus."
"Peut-on plonger maintenant et jeter les ancres, en sacrifiant un peu de gaz ?"
"Maintenant ? Il serait imprudent, mon ami, de perdre un peu d'hydrogène, alors que peut-être le vent nous poussera à travers l'Atlantique au lieu de nous porter vers l'Afrique. Je veux conserver toutes les forces de Washington pour chercher un nouveau courant."
"Mais nous descendons vers le sud à grande vitesse, M. Kelly."
" Peu importe : l'Afrique est à notre gauche, et pour longtemps, nous ne la quitterons pas. Que nous débarquions ici ou plus au sud, sur les rives du Sahara, de la Sénégambie ou de la Sierra Leone, qu'importe, maintenant que l'Europe nous échappe ? Lorsque le Washington se calmera, nous jetterons l'ancre et attendrons que le coup de vent se lève le plus haut possible."
"Et si l'ouragan nous poussait vers l'ouest à la place ?"
"Nous sommes dans les mains de Dieu : ce qu'il veut arrivera."
"Pensez-vous que le Washington ne possède pas assez de force pour retraverser l'Atlantique ?"
"J'en doute, O'Donnell. Il est vrai que les vents, pendant les ouragans, acquièrent une rapidité incroyable, et que quinze cents milles seulement séparent la côte de la Sierra Leone et le cap brésilien de Saint-Roch, mais nos moyens sont maintenant maigres, et nous tomberions au milieu de l'océan, à moins qu'un navire ne nous recueille."
"A" ! Et nos amis, les avons-nous oubliés ? Qui sait, ils ne sont peut-être pas à notre recherche maintenant, si les pigeons voyageurs ont atteint l'île Brettone.
"Faible espoir, O'Donnell. L'Atlantique est immense et mes amis ne peuvent savoir où le vent nous a poussés. Nous ne devons compter que sur nos propres forces."
"Mais il me semble, Mr Kelly, que notre hydrogène se condense très lentement ce soir. car nous n'avons pas encore commencé notre descente."
" Nous sommes dans un courant d'air très chaud, et notre Washington a été revigoré il y a quelques heures, mais nous allons tomber, O'Donnell, je vous assure. En attendant, attachons toutes les cordes disponibles et préparons nous à descendre nos cônes."
Washington, comme l'avait justement noté O'Donnell, n'était pas sur le point de tomber, même si la température avait baissé de quelques degrés. Il se trouvait toujours à une altitude de 2 500 mètres, filant vers le sud à une vitesse de pas moins de soixante-deux kilomètres par heure. Si ce vent ne ralentissait pas, le Washington devait perdre tout l'avantage acquis dans la journée et se retrouver à proximité des Canaries, qu'il avait quittées vers onze heures du matin. A dix heures, cependant, la descente du ballon a commencé, mais elle a été très lente. Il descendait à une vitesse de trois ou trois cent cinquante mètres par heure, tandis que la vitesse du vent augmentait. À minuit, l'ingénieur fait remarquer à ses compagnons un point lumineux, que l'on peut voir à l'est.
"Un navire ?" a demandé O'Donnell.
"Non", répondit M. Kelly, qui avait pointé une lorgnette dans cette direction. "C'est une lueur clignotante, ce sera le phare de Teneriffa ou de l'île de Fer."
"Déjà aux Canaries ? Et la course est lancée !"
À trois heures du matin, l'aérostat n'était qu'à deux cents mètres au-dessus de la surface de l'océan. Le mécanicien a fait jeter les deux cônes, qui se sont immédiatement remplis d'eau, immobilisant le vaisseau aérien.
"Laissez-nous nous reposer", a-t-il dit ensuite. "Nous ne sommes pas en danger."
Les trois aéronautes, qui avaient veillé jusque-là et s'endormaient, s'allongent sur leur matelas et s'endorment profondément, bercés doucement par le grand courant des alizés.



 

contact mentions légales déclaration de protection de données